Termine di Cagnano Amiterno. Lì dove l’Abruzzo terminava sognando una diaspora all’inverso

Tratto da Radio l’Aquila

Spesso alcuni individui, ma a volte anche interi gruppi di popolazioni, per motivi diversissimi, sono costretti a lasciare la loro terra di origine o decidono di farlo e, nella terra d’arrivo dove iniziano a sviluppare una nuova esistenza, formano nuove comunità spesso caratterizzate dai valori e dalle tradizioni della loro terra d’origine. Il vocabolo diaspora è solitamente riferito a quella ebraica, ovvero alla dispersione del popolo ebraico avvenuta durante i regni di Babilonia e sotto l’impero romano. In seguito, il vocabolo acquisisce un significato più ampio molte volte in relazione all’emigrazione; attualmente la parola diaspora si applica anche alle popolazioni che lasciano la propria terra. Non a caso, infatti, le ragioni di ogni partenza sono assai simili a quelle che hanno costretto il popolo ebraico a migrare: la ricerca di migliori opportunità di vita e di lavoro per loro e per le proprie famiglie. Altri, invece, sono spinti da un desiderio diverso: quello di conoscere, apprendere, mettersi in discussione e spingersi oltre il limite delle proprie capacità. L’evoluzione del significato di diaspora permette dunque di enumerare molteplici diaspore: quella irlandese, la polacca, la greca… ma esiste anche una diaspora italiana (che l’attuale situazione economica continuamente nutre) vale a dire l’emigrazione di persone, anche con un’elevata preparazione professionale, che si dirigono verso altri paesi per realizzare le proprie ambizioni in ambienti più aperti e ricchi di possibilità. Per dare un’idea dei flussi, sono circa settantacinque milioni le persone di origine e discendenza italiana che vivono al di fuori dell’Italia. Tra questi gruppi si distinguono gli abruzzesi che nel corso dei secoli, hanno ciclicamente lasciato il proprio territorio per realizzare, all’estero, il proprio potenziale ed esprimere al meglio le proprie capacità. Dovunque vadano, gli abruzzesi portano con sé i valori tipici di gente abituata a vivere a contatto di una natura non sempre favorevole. I loro caratteri più evidenti sono la determinazione, la testardaggine, il lavoro duro, il senso del risparmio e l’ottimismo. Valori il più delle volte inculcati dai genitori, valori che, una volta trasportati nel mondo, permettono la sopravvivenza e il successo in un ambiente nuovo. La diaspora degli emigrati abruzzesi inizia fra la fine del secolo XIX e la prima metà del secolo XX. In quel periodo gli abruzzesi si dirigono sia verso l’Europa del Nord, sia verso le Americhe. L’emigrazione più significativa, proveniente da ogni angolo dell’Abruzzo, segue il movimento dei moltissimi amici, parenti e paesani che per primi, all’inizio del Novecento, avevano lasciato la loro terra, dirigendosi verso gli Stati Uniti, paese dal quale i migranti abruzzesi hanno fatto sempre sentire alta, forte e dignitosa la loro voce. Una voce che è emersa ancora più poderosa dopo il terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009. Attualmente, le comunità abruzzesi nel mondo contano approssimativamente 1 milione 200 mila iscritti, compresi i discendenti di coloro che emigrarono già dal 1860. Esistono 104 rappresentanze ufficiali di abruzzesi all’estero, principalmente in Argentina, Brasile, Venezuela, Cile e Uruguay, Canada e Stati Uniti.

 

 

Nell’emigrazione della gente d’Abruzzo, ritengo che il paese Termine di Cagnano Amiterno rappresenti figurativamente l’ultimo avamposto. Termine è una frazione del comune di Cagnano Amiterno da cui dista meno di tre chilometri; si trova in provincia dell’Aquila, è fredda e nevosa d’inverno, calda e secca d’estate. Termine si trova a 1050 metri d’altezza su una strada provinciale che le carte topografiche online nemmeno rilevano e vi risiedono 223 abitanti. In un certo senso Termine è la quintessenza dell’Abruzzo. Un paese di montagna che si trova alla fine di un percorso a suo tempo fatto di sassi e ghiaia. Lì la strada si arrestava. Termine, appunto. Oltre non c’era niente e nessuno si avventurava al di là. Quello era il Termine, l’Abruzzo finiva lì. Chi arrivava in cima alla strada scrutava la vallata sottostante, la Piana di Termine, intravedeva le cime delle montagne e immaginava soltanto il paese di Cascina che si estendeva al di là, ma era intimorito all’idea di avventurarvisi. Arrivare a Termine era come arrivare alle colonne d’Ercole. In questo finis terrae montano, però, qualcuno a volte ritorna, come in una diaspora al contrario. Ma davvero dalla diaspora si può tornare? In che misura il paese dell’Abruzzo lasciato e ritrovato può beneficiare di un nuovo ritorno? La sensazione di chi ritorna è che la diaspora al contrario non sia praticabile e che gli abruzzesi siano condannati a sviluppare e tramandare la propria abruzzesità al di fuori della loro terra. L’Abruzzo è una terra ostica, popolata da gente semplice, di arte e tradizione, di cultura, religione, natura e gastronomia. E’ una regione montagnosa e rocciosa con tante piccole comunità -ognuna con tratti peculiari dei quali sono orgogliose- che si conoscono e s’intendono senza incontrarsi. L’abruzzese è conosciuto soprattutto per le caratteristiche della sua gente. La definizione, diventata ormai popolare, di Abruzzo forte e gentile è di Primo Levi, che coniò l’espressione per un suo racconto, Impressioni d’occhio e di cuore , pubblicato nel 1882 con lo pseudonimo di Primo. La parola forte non ha soltanto un significato fisico, ma anche morale, di determinazione, ottimismo e coraggio, che a volte sconfinano nella testardaggine. La parola gentile va intesa non solo nel senso di buone maniere, forse inattese in gente di montagna, ma anche etico, di gioia di vivere. Il simbolo dell’abruzzese risparmiatore è tutto nell’immagine della donna che lavora con l’uncinetto e quando si fa buio si sposta vicino alla finestra per sfruttare ancora un po’ la luce naturale, evitando di consumare elettricità. L’abruzzese risparmiatore si evidenzia nel valore della casa. Non a caso molti abruzzesi emigrati, soprattutto a Roma, dopo la seconda Guerra Mondiale, sono stati protagonisti della costruzione di edifici per una crescente popolazione urbana. Tutte queste caratteristiche provengono dai caratteri e dalle usanze di questo territorio che restano con te per tutta la vita. E’ come se uno l’Abruzzo ce l’avesse dentro: quello tramandato dai genitori, è quello appreso tra somari, cugine, marrocchie, porci e pecorino con i vermi, castrato e pane casareccio. Tornare a Termine, dove tutto è cominciato, è come celebrare la propria identità. Ora la strada è asfaltata, permette di raggiungere il grande spazio sottostante di Piana di Termine per poi proseguire verso Cascina; ora non si avverte più timore e deferenza. Piana di Termine e dopo di lei Cascina non sono più un mistero. Cascina è una località dedicata al pascolo e alla coltivazione di legumi e patate; è un luogo con percorsi di trekking a piedi, a cavallo e in bicicletta; è meta di appassionati della natura e della cucina casereccia. L’abruzzese che torna a Termine dopo aver attraversato quella vallata, sa di avere violato il mistero. Ma una volta giunti a Termine comincia il rito dei ricordi, talvolta si prova ad utilizzare un dialetto ormai perduto, pur riconoscendo la cadenza e l’accento così tipici e indimenticabili. Sono soprattutto ricordi di legami con persone care, di rapporti tra parenti, oppure ricordi d’infanzia.

 

 

Termine oggi è un paese spopolato. Il rumore di un arrivo incuriosisce i rari abitanti, che cercano di capire chi è il visitatore: verificano da dietro le finestre, escono per accertarsi, salutare, invitare a prendere un caffè e qualche biscotto, far vedere le foto della famiglia. Ritrovare il passato serve a rispondere alla domanda: in che misura il paese abbandonato può beneficiare della diaspora all’inverso di coloro che dopo averlo lasciato ritornano? E improvvisamente Termine acquista un significato figurativo e una dimensione molto più ampia, nazionale. E l’emigrante scopre che il paese che ha lasciato è rimasto tale e non sembra essere migliorato poichè ritrova le stesse difficoltà che viveva quando è partito. Una regola non scritta, che pure permea il tessuto sociale, é che le norme per gli amici s’interpretano, mentre per i nemici si applicano. Regole e valori riecheggiano pratiche antiche, dove l’innovazione e la trasparenza non trovano spazio. Cambiare non é proponibile a facce vecchie invecchiate simili a Proci mai debellati. Il contrasto è sconvolgente per chi ha sperimentato che si può vivere bene, semplicemente lavorando duro; che anche il meno abbiente può progredire, avere successo e dare un futuro solido ai figli senza ricorrere a disonestà; che rule of law, mobilità sociale, ricambio sono alla base del funzionamento della società. A Termine tutto rimane immutabile: il presente è uguale al passato e non c’è futuro. Chi torna manifesta un interesse distaccato, osserva un modo di vita ormai per lui inusuale, si riempie di ricordi e di emozioni, ma sente vivo il timore di poter essere ricacciato in quel passato che ha rifiutato. Solo alla fine si rende conto che lui è solo un turista nella sua terra di origine e formula amare e distaccate considerazioni.

di Pietro Masci

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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