Articolo di Simona Pisarri tratto da TESORID’ABRUZZO
Le due colonie presenti sul tratto costiero regionale, la Rosa Maltoni Mussolini a Giulianova (Te) e la Stella Maris a Montesilvano (Pe), si configurano come il prodotto di due filoni d’intenti apparentemente autonomi, ma nella realtà strettamente interconnessi tra di loro nel processo di rafforzamento dei giovani cittadini italiani: la finalità preventiva e curativa da un lato e il processo formativo ed educativo dall’altro. È proprio con l’intento di preservare le giovani generazioni da malattie quali tisi, rachitismo e tubercolosi, che dagli anni Venti, iniziano a diffondersi le colonie elioterapiche con una particolare attenzione alla formazione culturale, intellettuale e morale dei giovani Balilla. Grazie all’esperienza in colonia, per la prima volta nella storia, alle giovani generazioni si apre la possibilità di sperimentare la pratica turistica, momento di conoscenza del territorio italiano e di socializzazione tra coetanei. Il turismo da fenomeno d’élite inizia a definirsi come sociale, sotto l’egida di un pensiero guida che vede nell’appagamento dei giovani il principio primario in grado di realizzare un consolidamento totalizzante del consenso. Solo andando oltre ogni implicazione di carattere ideologico si può cogliere la principale rivoluzione attuata da queste istituzioni che si collocano come punto iniziale d’incontro dei bambini dell’entroterra con i mari della nostra penisola. La costa abruzzese, in questo contesto nazionale, inizia ad emergere come luogo turistico; un territorio che incomincia ad essere vissuto e conosciuto dai giovani italiani proprio grazie ai loro soggiorni in colonia. Da un punto di vista strettamente architettonico lo stile di riferimento è il razionalismo e, in entrambe le colonie abruzzesi l’architettura si mette a servizio dell’ideale di formazione pedagogica che il regime si prefiggeva di attuare. Ogni ambiente doveva essere funzionale al programma educativo implementato; la struttura spaziale delle colonie prende corpo proprio in base alle singole attività formative, nelle due diverse configurazioni architettoniche del monoblocco per la Stella Maris e del villaggio per la Rosa Maltoni Mussolini. In entrambi gli edifici particolare attenzione è riservata agli spazi all’aperto, dove si svolgevano la maggior parte delle attività giornaliere e ginniche, al fine di consentire ai giovani fruitori un rapporto empatico con la natura e un contatto privilegiato con il paesaggio marino circostante. La trattazione di entrambi gli edifici si pone come principale finalità quella di riscattarli dall’oblio che li affligge da anni, elevandoli a contenitori di eccellenza, vere e proprie cattedrali sul mare, sintesi di un processo storico e sociale che ha caratterizzato il paesaggio costiero regionale, precorrendo l’odierno sviluppo urbano delle due città balneari dove sono ubicate.
La colonia marina Stella Maris
La colonia Stella Maris, realizzata nel 1939 dai Fasci di combattimento di Rieti, su progetto dell’architetto Francesco Leoni con la collaborazione dell’ingegnere Carlo Liguori, si configura come una delle massime espressioni dell’architettura fascista abruzzese. Lo stretto rapporto tra edificio e regime si rintraccia nella relazione inviata nel settembre del 1936 al Partito nazionale fascista per la costruzione della colonia, dove la sezione dedicata alla descrizione architettonica della struttura inizia con la frase: “La costruzione ha la forma caratteristica di un velivolo pronto a spiccare il volo, nei segni del Littorio, per raggiungere nuove mete e conquiste”. L’edificio, infatti, in perfetta aderenza con lo stile futurista, ha la pianta a forma di aeroplano, simbolo di eccellenza del regime e con molta probabilità omaggio a d’Annunzio, che del volo aveva fatto una delle sue principali attività, espressione del concetto di dominio della realtà sottostante e possesso del cielo. La struttura, nelle sua orizzontalità, instaura un rapporto dialettico con il mare, rafforzato dalle ali protese in avanti e rialzate dal terreno mediante dei pilotis che, oltre a realizzare l’effetto di avvicinamento alla spiaggia, avevano la funzione di creare una zona d’ombra per il riposo dei bambini, durante le ore più calde della giornata.
Nella lettura architettonica la principale particolarità è la presenza, all’interno di un elemento aeronautico, di simboli che rimandano all’universo navale: i parapetti in tubolare metallico, il torrino centrale, denominato “casa del capitano”, e le numerose finestre ad oblò, sei delle quali, collocate anche nel corpo centrale. Le finestrature, di cui sessanta solo nella facciata del refettorio a due piani, giocano un ruolo primario all’interno dell’edificio in quanto, oltre a permettere l’ingresso dell’illuminazione naturale, consentono un’apertura verso il paesaggio in perfetta aderenza ai principi elioterapici che ispiravano la progettazione delle colonie. L’analisi degli ambienti interni si articola su una serie di spazi indipendenti progettati in linea con il sistema di coabitazione disciplinata a cui erano destinati. Le ali, erano sede dei dormitori con una capacità di ospitare duecento bambini con annessi i bagni e i lavatoi; la parte centrale accoglieva il refettorio; nella carlinga erano collocate le docce, gli spogliatori e i magazzini, mentre nella coda si trovavano i locali di servizio e l’infermeria. I collegamenti erano garantiti da quattro scale interne, collocate una centralmente, due nei volumi semicilindrici laterali e una nella coda. Di particolare valenza architettonica è la soluzione della scala centrale elicoidale, sviluppata attorno ad una colonna centrale e sostenuta da otto pilastri quadrati collocati lungo il perimetro esterno del refettorio. La scala, nonostante le sue ridotte dimensioni, si pone come uno dei principali elementi di pregio della colonia. Risulta di particolare effetto l’avvitamento che parte dal pavimento e si conclude nel soffitto, dove il volume si apre in una serie di travature a raggiera. Dal 1984 lo stabile, persa la sua funzione di orfanotrofio e casa di riposo sotto la gestione delle Suore riparatrici del Santo Volto, vive una fase di lenta e incerta riqualificazione. Dal 2001 la proprietà è passata dalla Regione Abruzzo alla Provincia di Pescara che, dal 2004 ha avviato un lungo e complesso intervento di recupero finalizzato al ripristino dei valori architettonici originari, stravolti dagli interventi e atti vandalici avvenuti nel corso degli anni. L’obiettivo odierno, perseguito con l’apertura del bando di riqualificazione e riuso della ex colonia, è quello di far riprendere il volo alla struttura, restituendo alla cittadinanza un gioiello dell’architettura razionalista e alla colonia la giusta identità che merita.
La colonia Rosa Maltoni Mussolini
La colonia marina Rosa Maltoni Mussolini, sul lungomare Zara di Giulianova, fu costruita per conto dell’Inam-Istituto nazionale di Assistenza magistrale, l’ente da sempre interessato alla creazione di strutture marine e montane per le cure elioterapiche dei figli degli insegnanti. L’input che diede l’avvio all’edificazione della colonia fu la donazione da parte del commendatore Cesare Migliori, commerciante giuliese di gioielli, di duemila metri quadrati di arenile per la costruzione di una colonia permanente, come omaggio al fratello Ernesto in occasione del primo anno dalla sua scomparsa.
Nel 1933 l’Inam incaricò l’ingegnere Alberto Ricci di elaborare il progetto di costruzione approvato il 21 novembre dello stesso anno. La colonia, inaugurata nel 1936 ed ampliata con l’aggiunta di un ulteriore volume nel ’37, riproduce in pianta, in maniera inequivocabilmente celebrativa, la lettera “M” di Mussolini. La planimetria generale del complesso evoca anche l’immagine delle navi ancorate, rivolte verso il mare.
La forma navale è data dall’unione, tramite collegamenti orizzontali, dei tre padiglioni paralleli e del quarto retrostante come simbolo del ritorno in patria degli emigranti. Tale interpretazione scaturisce dalla pianta allungata dei tre corpi, dei quali il più grande, quello centrale, assume il ruolo di “nave ammiraglia”; anche le terrazze del terzo livello rafforzano questa tesi evocando l’immagine dei ponti delle navi. In base all’analisi architettonica, la colonia si dimostra in perfetta aderenza con i nuovi dettami razionalisti delle architetture civili, caratterizzate dalla totale assenza di decorazione che fa spazio ad un linguaggio basato sulla linea retta continua e sul culto della logica, al fine di edificare una struttura capiente in modo rapido e funzionale.
Nella distribuzione degli ambienti, la struttura presenta un’articolazione più complessa rispetto alla Stella Maris, grazie al particolare modello compositivo del villaggio sul quale si basa la planimetria della Rosa Maltoni Mussolini. I fabbricati laterali, definiti padiglioni gemelli, erano destinati a dormitori sui lati verso le testate, mentre l’organizzazione della porzione centrale era strutturata in modo da creare gli ambienti con i servizi igienici e le docce. Nel volume centrale, distribuito su due livelli più un terzo quasi interamente destinato a terrazza, erano ricavati i locali comuni come le sale per la ricreazione, il refettorio e le cucine. Il padiglione posteriore, ortogonale ai tre principali, era invece la sede dell’infermeria e dei locali di servizio.
La colonia cessò la sua attività il 1 luglio 1940 e fu trasformata in ospedale militare. Nel 1948 fu restituita all’ex Inam, divenuto Enam, che riaprì la colonia nell’estate del 1957 fino al 1992. Da questa data la struttura è abbandonata all’incuria e al degrado del tempo, smarrendo la sua funzione originaria ed assumendo come unico ruolo sociale quello di ricovero provvisorio di “senza tetto”.
Articolo di Simona Pisarri tratto da TESORID’ABRUZZO
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.