Le mura dell’Aquila costituiscono l’antica cerchia della città e rappresentano il confine del suo centro storico. Edificate a partire dal XIII secolo, ed in buona parte conservate ancora oggi, mantengono pressappoco la forma originale nonostante le numerose modifiche dovute a crolli (causati dai frequenti terremoti) e sventramenti di carattere urbanistico; si estendono per oltre cinque chilometri e mezzo inglobando un’area di circa 157 ettari destinata a contenere decine di migliaia di abitanti
La prima edificazione delle mura avvenne probabilmente già in seguito alla prima fondazione dell’Aquila ma non bastò ad evitare la distruzione della città da parte di Manfredi nel 1259. Dopo la ricostruzione angioina, nel 1270 si procedette alla realizzazione di una nuova cinta muraria ad opera di Lucchesino da Firenze, cui si deve anche la suddivisione dell’Aquila in quattro rioni storici per meglio facilitarne l’opera di fondazione; la realizzazione si può ritenere conclusa già nel 1316, epoca in cui era Capitano di Città Leone di Cecco da Cascia, come testimoniato dalla lapide presente su Porta Barete, e rappresenta la consacrazione dell’impianto urbanistico angioino con il percorso principale est-ovest tagliato all’altezza dei Quattro Cantoni da un percorso secondario posto sulla direttrice nord-sud. Anton Ludovico Antinori, nella sua opera Cronache aquilane, descrive le mura come «alte cinque canne, larghe ben sei palmi con 86 torrioni e dodici porte che poi furono ridotte a quattro». Le quattro porte principali, poste all’estremità del percorso longitudinale e di quello trasversale interno alla città, sono verosimilmente Porta Barete (o di Lavareto) ad ovest, Porta Paganica a nord, Porta Bazzano ad est e Porta Rivera a sud; intorno a questi quattro poli si stabilizzerà l’impianto urbanistico cittadino con la struttura a quattro Quarti e la suddivisione in locali, ciascuno dei quali collegiato ad un castello di riferimento.
Le porte rivestiranno particolare importanza perché permetteranno alla nuova città di rapportarsi direttamente con il suo contado. Tra il XIII ed il XVI secolo vennero realizzati nuovi sbocchi in corrispondenza dei principali assi viari, pur limitando al massimo l’accessibilità dall’esterno e di conseguenza la difendibilità dell’Aquila[4]. In questo modo, nel quattrocento, la cinta muraria riuscirà a reggere alle numerose incursioni nemiche ed ai lunghi assedi, compreso quello celebre condotto da Fortebraccio tra il 1423 ed il 1424, durato oltre un anno e conclusosi con la vittoria aquilana. Nel XVI secolo la dominazione spagnola cambiò gli equilibri del territorio separando definitivamente la città dal contado, con quest’ultimo che spartito in feudi venne dato in possesso a capitani dell’esercito imperiale, e contribuendo alla perdita d’importanza delle porte urbiche. Sempre l’Antinori scriverà che di lì in avanti «col nome d’Aquila non si intenderà che le mura stesse nelle quali è situata e recinta la città».
Gli spagnoli porteranno a termine anche un’altra operazione che risulterà importante per il futuro della città: tra il 1534 ed il 1567 costringeranno la cittadinanza alla distruzione di un intero quartiere, e del relativo tratto di cinta muraria, in corrispondenza dei locali di Paganica e Tempera per la realizzazione del Forte spagnolo che causerà anche la chiusura di Porta Barisciano (poi sostituita con Porta Castello) e la sua successiva demolizione. L’impianto urbanistico originario, nel frattempo, si modificò lentamente all’impostazione cardo-dedumanico di ispirazione rinascimentale, accentuata dal processo di polarizzazione urbana creatosi in seguito alla costruzione della fortezza; le numerose piante redatte nel XV, XVI e XVII secolo tenderanno ad attribuire maggiore importanza all’assialità ortogonale di alcune vie (il corso e via Roma su tutte, ma anche via Castello) rispetto all’irregolarità di strade come via Fortebraccio.