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Prodotti enogastronomici della provincia di Chieti

fiadone

La marmellata di cetrangolo

Non si sa bene come e quando siano arrivate le arance in questo lembo di terra. Ma è ragionevole ipotizzare un’origine risalente al XVIII secolo, quando ebrei sefarditi, profughi dalla penisola iberica, si rifugiarono nel Regno di Napoli. Per questa ragione l’arancia sarà chiamata “purtuhalle”. Il commercio degli agrumi tra l’800 e il 900 era una attività fiorente e remunerativa. Poi arrivò il declino. Oggi giardini di aranci, estesi pochi ettari con diversi esemplari secolari, sono disseminati lungo la cosiddetta costa dei trabocchi, e la varietà caratterizzante, è il “centrangolo”, un arancio amaro dalla maturazione tardiva che da frutti biondi e profumati. Per apprezzarne appieno le qualità gustative il periodo migliore va da febbraio-marzo in avanti. Ma dove i risultati vanno davvero al di sopra della mediocrità, è nella loro trasformazione in marmellata, pratica diffusa in tutte le famiglie di questa parte di Abruzzo. Da qualche anno anche grazie alle iniziative di una specifica associazione di tutela, è tornato forte l’interesse per questa attività e diversi piccoli laboratori artigianali producono e vendono eccellenti confetture di agrumi. Il medesimo sodalizio organizza – ogni anno la seconda domenica di marzo a Vallevò – un colorito mercatino di arance e confetture.

I prodotti della terra

Il comparto agricolo dell’area chietina è caratterizzato, oltre che dalla viticoltura, dalle produzioni ortofrutticole: meritano di essere assaggiate, l’uva Regina di Ortona, comunemente detta Pergolone, le ciliegie di Giuliano Teatino e i pomodori a pera di Francavilla al Mare. L’uva Regina Bianca dell’ortonese, fu importata dalla Spagna dalla famiglia D’Avalos nel XVI secolo e ha trovato un microclima perfettamente adeguato nei territori di Ortona, Tollo, Crecchio e Canosa Sannita. Accanto al Pergolone è molto diffuso il Cardinal, la cui coltivazione è stata introdotta nel secondo dopo guerra. È di colore rosso violaceo ed ha grappoli tondeggianti ed acini croccanti. A Giuliano Teatino è, invece, forte il legame con la produzione delle ciliegie. Questo comune insieme a Canosa Sannita, Ari e Torrevecchia Teatina, costituisce il principale centro produttivo della Regione. Una menzione particolare merita la cipolla piatta di Fara Filiorum Petri, antica e tradizionale coltivazione in appezzamenti di terreno molto ricchi di acqua detti appunto cipollari. Il pomodoro “a pera”, coltivato nel comune di Francavilla al Mare e nei paesi limitrofi, prende il nome dalla sua caratteristica forma, lievemente allungata con costole più o meno pronunciate; i frutti possono raggiungere i 600 g di peso. Il colore rosso molto intenso, rimane giallo verso la parte apicale, che tende un po’ a fessurarsi. Risulta essere molto ricco in zuccheri, in sali minerali e in licopene (potente antiossidante naturale con proprietà antitumorali). Facilmente pelabile, quando è maturo ha pochi semi, caratteristiche queste che lo rendono particolarmente adatto alla produzione casalinga di salsa in bottiglia. Il frutto, consumato fresco è dolce, sapido, dai profumi mediterranei, ottimo per le insalate, da solo o con altre verdure. La presenza del Tartufo del Sangro sia spontaneo che coltivato in Abruzzo, è molto significativa. Si ritiene che circa 500.000 siano gli ettari di tartufaie naturali, rappresentando il 40% della superficie complessiva concentrati maggiormente nei territori montani, pedemontani e collinari delle province di L’aquila e di Chieti. Tutte le specie sono rappresentate. In provincia di Chieti molto importante è la produzione di tartufi bianchi pregiati prevalentemente nella vallata del Sangro, Borrello, Pizzoferrato, Roio del Sangro, Quadri, e nella vallata del Trigno, Torrebruna e Carunchio. Interessati alla produzione di tartufi neri (il diamante nero d’Abruzzo) sono i comuni di Casoli, Guardiagrele, Fara S. Martino, Lama dei Peligni, prevalentemente scorzone estivo. Le pesche di San Salvo. Negli anni 60 la peschicoltura a San Salvo è diventata attività economicamente importante grazie alla vocazionalità del territorio, ai fertili terreni lungo il Trigno ed alla abnegazione degli agricoltori che hanno consentito eccellenti qualità della produzione. Negli stessi anni venne costituita la Cooperativa Euroortofrutticola che oltre a porre le basi per una commercializzazione organizzata ha promosso il miglioramento continuo della qualità della peschicoltura, puntando al rinnovamento varietale e alla estensione delle superfici a coltivazione integrata e biologica. Con oltre 1.200 soci oggi è diventata una delle più grandi organizzazioni di produttori d’Italia e le produzioni di pesche, nettarine e percoche per circa il 60% vengono esportate prevalentemente verso la Germania e l’Inghilterra. I ben informati riferiscono che le pesche di San Salvo sono presenti sulla mensa della casa reale inglese. Nel 2008 la città di San Salvo è stata insignita per il secondo anno di fila della bandiera verde, dalla Confederazione italiana Coltivatori per la genuinità delle produzioni frutticole e aderisce per le produzioni peschicole a “Res Tipica” istituita dall’ANCI per favorire l’incontro tra i produttori e i consumatori nei diversi comuni d’Italia, meritando così l’appellativo di “città delle pesche”.

Le Percoche di Atessa

A Piazzano di Atessa si coltivano pesche gialle dalla fine degli anni ’50. La qualità eccellente delle produzioni ne hanno fatto subito crescere la fama. Per molto tempo ha fornito le famiglie del territorio frentano di ottime percoche, le pesche gialle a polpa dura, per la frutta sciroppata. Il terreno l’ambiente, la capacità degli agricoltori, hanno permesso alle percoche di Piazzano di essere considerate fra le migliori d’Italia. La Patata di montagna del medio Sangro. Nei comuni di Montenerodomo, Pizzoferrato, Gamberale e Civitaluparella, piccole aziende contadine coltivano da tempo la patata, prodotto importante per l’alimentazione delle comunità che là vivono. L’alta qualità delle produzioni l’ha resa di fatto una protagonista indiscussa della gastronomia del territorio: gnocchi, patate fritte o lesse sotto il coppo, polenta bianca e frascarielli. Previa lessatura, sono anche aggiunte all’impasto per la preparazione del pane più tradizionale del comprensorio, di cui allungano la conservazione.

Il peperone dolce di Altino

Oasi di Serranella. Il Peperone dolce di Altino rappresenta una tipologia morfologica tipica di peperone dolce – Tipo “Paesanello di Altino” o “A cocce capammonte” con i frutti rivolti verso l’alto di colorazione rosso porpora, riconosciuto dalla regione Abruzzo ed inserito nell’elenco dei prodotti tipici tradizionali o minori. Viene coltivato, venduto fresco o confezionato in serte, essiccato ed in parte ridotto in polvere per essere usato in cucina o nella produzione di ventricine e salumi in genere. La zona geografica di produzione è quella di Altino e delle aree limitrofe comprese tra i fiumi Sangro ed Aventino attorno all’Oasi di Serranella. Ogni anno l’Associazione di tutela del Peperone dolce di Altino, in stretta collaborazione con l’amministrazione comunale, promuove il “Festival del Peperone dolce di Altino” con il suo “Palio culinario delle contrade”, una sorta di punto d’incontro tra tradizione e gusto, che riscuote successo e notorietà anche oltre i confini regionali. Ogni volta il centro storico, con i suoi laboratori di vimini, legno, rame, merletti, orti didattici, diventa, com’è ormai tradizione, “Teatro di degustazione” grazie a sette differenti menu valutati da una giuria composta di giornalisti, gastronomi, chef ed esperti di folklore che, nella serata conclusiva, decreta il rione vincitore. La manifestazione che si tiene l’ultimo fine settimana di agosto di ogni anno, ha celebrato nel 2013 la sua quinta edizione.

Il carciofo di Cupello

Si tratta di un ecotipo locale della specie cynara scolymus, diffuso nel comune di Cupello e nei comuni limitrofi di Furci, Lentella, Monteodorisio, San Salvo e Vasto. La raccolta dei capolini in relazione all’andamento stagionale va da marzo ad aprile. La forma è rotondeggiante ma un po’ più allungata del romanesco e ricorda una “mazzaferrata”, l’antica arma medievale, tant’è che viene chiamata anche così nella zona di produzione. Il colore delle brattee, circa un centinaio, è verde con intense sfumature violacee, non presenta spine, ne la lanugine nel cuore del carciofo. Notizie certe della coltivazione del carciofo in questa area si trovano nel catasto agrario del 1929, ma solo tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta iniziò una sua razionale coltivazione. Furono costitute le prime cooperative per la commercializzazione e iniziarono le produzioni dei sottoli e dei paté. La scarsa fibrosità, l’assenza di lanugine ne fanno un carciofo eccellente sia per il consumo fresco che per la trasformazione. La prima sagra del carciofo si tenne a Cupello nel 1965 e dopo alcuni anni di interruzione, dal 1990 ad oggi sono state sempre organizzate con connotati sia gastronomici che tecnici. Il carciofo di Cupello si fregia del marchio collettivo comunitario.

Le fave di San Nicola a Pollutri

Quando sia iniziato il culto per San Nicola di Bari a Pollutri non lo sappiamo con certezza, ma notizie documentate di questa festa popolare molto sentita e partecipata risalgono al 1703. In una “Cronaca” in tale data, lo storico abruzzese Diego Marciano racconta della festa, della grande partecipazione popolare, delle preparazioni precedenti, con dovizia di particolari. I festeggiamenti avvenivano e tuttora si svolgono il 6 dicembre e la prima domenica di maggio. La settimana prima viene macinato il grano per ottenerne farina, che alla vigilia della festa sarà impastata su lunghe tavole; la mattina dopo la lievitazione dall’impasto si otterranno piccoli pani su cui verrà impresso l’antico sigillo del santo di Mira, subito avviate alla cottura in forno da una processione di fanciulle che portano in testa, in equilibrio, le tavole su cui sono appoggiati. Nel primo pomeriggio i deputati della confraternita preparano nove enormi caldai con acqua e fave precedentemente tenute in ammollo. Al gruppo, fra deputati e cittadini, che per primo fa bollire il caldaio, come in una sorta di competizione, vengono assegnati premi in natura. A cottura ultimata le fave lesse saranno distribuite ai fedeli e consumate insieme ai pani e al vino. Questa antica tradizione si ritiene abbia avuto origini durante una delle ricorrenti carestie: la popolazione di Pollutri venne salvata dalla fame, da un pugno di fave donate dal santo durante uno dei suoi numerosi viaggi in occidente.

Credits: www.comune.pretoro

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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