Storia della ricerca sull’età del ferro in Abruzzo

Nelle fonti antiche il confine a nord verso il Piceno varia tra i fiumi Tronto e Aterno, cosa che potrebbe rispecchiare fasi cronologiche diverse, come ipotizzato da A. Naso; motivo per cui la domanda relativa ai confini tra le tribù e i popoli nelle antiche fonti scritte è riproposto in maniera controversa, come mostrato da G. Baldelli il quale, per questo motivo, si oppone in modo scettico all’uso della definizione di “cultura picena” per i resti archeologici. A questo proposito, è significativa la domanda circa l’etnogenesi del popolo dei Pretuzi (Praetutii) e della loro delimitazione culturale e territoriale rispetto alle popolazioni del Piceno meridionale, anche se un confine comune in base ad alcune fonti antiche è stato individuato nel Tronto. A. La Regina, di recente, in un ampio discorso basato sulle iscrizioni “paleo sabelliche” circa le attribuzioni etniche dei popoli in Abruzzo e nelle Marche, ha sensibilmente ridotto la portata del significato attribuito dalla ricerca alla popolazione dei Pretuzi/Praetutii nell’area teramana prima della conquista romana

A suo parere, nel caso della popolazione locale di età arcaica si tratterebbe di “Sabini adriatici” (Safinús), che si lasciano distinguere dai Piceni confinanti a nord (*púpúnús) anche tramite testimonianze epigrafiche. I Praetutii appaiono pertanto come una piccola popolazione all’interno dell’ethnos sabino, riconoscibile appena lungo il fiume Tordino, e il cui nome fu attribuito in epoca romana a un territorio molto più esteso, l’ager Praetutianus. Una delle principali conseguenze di questa nuova considerazione è che Campovalano, tra il VII ed il V secolo a. C., è il principale insediamento sabino di questo territorio. Ricerche recenti hanno dimostrato che nel caso delle “culture medio-adriatiche”, come le intende Cianfarani, non si tratta di una “cultura archeologica“ determinata da caratteri precisi ma, piuttosto, di facies diverse, cioè di diversi gruppi regionali che sono legati tra loro solo sulla base di determinati elementi comuni come le armi e le fibule. Una distinzione convincente rispetto a rapporti culturali affini, come si osserva soprattutto nel Lazio settentrionale e orientale, nella Campania nordoccidentale, nell’Umbria meridionale e financo nelle Marche, si rivela difficile se non impossibile. Anche se oggi si volesse parlare di una koiné, per quanto di altro tipo (soprattutto a causa dell’analogo armamento e modo di ornarsi), vi troveremmo raggruppamenti dal punto di vista archeologico tutt’altro che omogenei. Per aggirare questo problema, sono stati fatti tentativi di collegare i rinvenimenti archeologici con gli ethne e i nomi dei popoli tramandati dalle fonti scritte. Nel suo significativo lavoro sulle aree di insediamento dei Vestini, A. La Regina ha ricostruito nel 1968, con l’aiuto della tradizione scritta e delle fonti epigrafiche, i confini geografici dei diversi popoli italici in età tardo-repubblicana, senza tuttavia estenderli in modo esplicito all’epoca arcaica. Dal momento che nelle fonti antiche si parla di popoli italici nella zona dell’odierno Abruzzo in un periodo non precedente al IV sec. a. C., la situazione territoriale relativa a quel momento viene riproiettata sulle epoche più antiche. Si è consapevoli che con questo procedimento si ricostruisce una continuità metodologicamente non sostenibile.

Teramo -Teatro Romano

Per questo motivo, si premette al nome del popolo il prefisso “proto” (come in ProtoVestini, Proto-Marsi, etc.), oppure si utilizza l’indicazione dell’ethnos in senso topografico, e si parla quindi, ad es., degli abitanti dell’Età del Ferro nell’area dei Vestini Cismontani. Una seconda possibilità consiste nel definire come safine o sabelliche le testimonianze archeologiche di tutti i popoli italici riconducibili ad una comune origine mitica sabina, in base alle testimonianze epigrafiche. Dal punto di vista metodologico è invece più corretta la soluzione, spesso adottata, di usare esclusivamente la denominazione topografica, scevra dal valore delle interpretazioni successive (ad es.: il Teramano, L’Aquilano, la Valle del Sangro etc.). La terminologia dei raggruppamenti archeologici è soggetta anche in altre aree d’Italia a convenzioni determinate dalla ricerca che sono da attribuire ad una confusione delle testimonianze archeologiche e linguistiche con le fonti scritte le quali, a loro volta, erano state connesse tra loro in determinati contesti geografici. Così si parla, ad esempio, di Etruria meridionale, di Etruria interna e settentrionale, di Sabina tiberina e di Piceno. Queste aree si differenziano tra loro anche per le testimonianze archeologiche e, ovviamente, oggi non c’è dubbio in quali zone abitassero gli Etruschi. Benché il materiale archeologico ivi rinvenuto sia classificato come etrusco, sabino, falisco, piceno oppure greco, il problema si pone per quelle regioni nelle quali non è possibile dedurre dalle fonti scritte alcun punto di riferimento certo per quell’epoca circa i nomi delle tribù o degli ethne. Come si definisce perciò un pugnale a stami che è stato prodotto nella zona di Bazzano ma è stato rinvenuto in una tomba etrusca Proto-vestino, sabellico, safino, medio-adriatico oppure come “produzione aquilana”. In questo caso la ricerca deve sforzarsi nel cercare una nuova denominazione che possa essere universalmente utilizzata. A tale scopo, per la ricerca futura sulla fase arcaica e su quelle più antiche dell’Abruzzo si presenta il concetto di “cantoni culturali” diversi, elaborato da E. Benelli e G. Tagliamonte, giacché le differenze, talvolta notevoli, nei reperti archeologici, possono essere determinate anche dalle condizioni naturali quali la presenza di altipiani, valli e catene montuose che creano separazioni, e dunque un fenomeno analogo a quello degli abitanti delle Alpi è verosimile. La necessità di una suddivisione articolata in piccoli raggruppamenti sulla base dei materiali archeologici è stata già in qualche misura soddisfatta per l’area abruzzese nord-occidentale, seppure ancora in base a un concetto etnico. Tra il 1979 e il 1980 sono stati pubblicati integralmente i risultati dei nuovi scavi nella necropoli di Alfadena, ai quali è associata una dettagliata discussione sulla cronologia. Nel 1990 furono pubblicati altri siti arcaici e materiali, ai quali si aggiunsero alcune tombe di Campovalano e Scurcola Marsicana così come i reperti da una collezione privata . Tre congressi ed una mostra sono stati dedicati all’archeologia intorno al Lago Fucino (oggi prosciugato), nei quali erano inclusi anche luoghi di rinvenimento più lontani. Negli anni Novanta la costruzione di un gasdotto in provincia de L’Aquila consentì inoltre la realizzazione di numerosi scavi archeologici, i cui risultati furono pubblicati in parte nel 1998. La ricerca ha ricevuto un impulso enorme, anche finanziario, attraverso l’esposizione “I Piceni – Popolo d’Europa”, tenutasi a Francoforte sul Meno nel 1999 e, successivamente, in Italia.

Il catalogo della mostra e il successivo volume degli Atti del Convegno rappresentano un passo importante per la documentazione archeologica dell’area medio-adriatica, dal momento che necropoli e siti recentemente scoperti sono citati in parte per la prima volta e le linee principali dello sviluppo dell’Età del Ferro nelle Marche e in Abruzzo hanno così potuto essere delineate in modo più differenziato che in passato. Infine, si è svolto un congresso dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, avente come tema la protostoria dell’Abruzzo, i cui importanti contributi sono stati pubblicati nel 2003. Queste favorevoli condizioni hanno condotto anche alla presentazione completa della necropoli di Fossa. Inoltre, sono da ricordare soprattutto quelle pubblicazioni dovute spesso all’iniziativa dei singoli comuni ed enti locali, oppure in collaborazione di questi ultimi con la Soprintendenza, nonché cataloghi di mostre e musei. Da ricordare sono anche la serie, ora completa, relativa alle antiche testimonianze della provincia di Teramo, i volumi sull’archeologia della Maiella e sul territorio di Prata d’Ansidonia (l’antica Peltuinum) , i cataloghi dei musei di Chieti, Loreto Aprutino, Penne e Teramo, oltre a cataloghi di mostre e volumi di convegni su singoli aspetti dell’Età del Ferro in Abruzzo e sull’archeologia di età ellenistica, che contengono anche importanti edizioni di materiali. Attraverso la progressiva industrializzazione dell’Abruzzo e lo sviluppo turistico di quelle aree prima destinate esclusivamente ad uso agricolo, è venuta alla luce una quantità sempre maggiore di resti archeologici che mutano profondamente la nostra immagine dell’Età del Ferro in questa regione. Questi forti cambiamenti dovuti alle acquisizioni della ricerca archeologica hanno riguardato soprattutto l’area nord-occidentale. Gli scavi condotti nell’Aquilano sotto la direzione di Vincenzo d’Ercole hanno portato alla luce ad oggi più di undici nuove necropoli, distribuite in un’area che si estende da Montereale a Capestrano. La caratteristica di queste necropoli, collocate nelle valli fluviali dell’Aterno-Pescara, è il loro lungo e quasi ininterrotto periodo di utilizzo, dalla prima Età del Ferro fino all’età imperiale romana43. Per il comprensorio nell’area di insediamento dei più recenti Vestini Cismontani, esistono circa 4000 nuove tombe. In un breve articolo di sintesi, V. d’Ercole fornisce le seguenti cifre44:
1. Bazzano, 1672 Tombe (scavi 1992-2005),
2. Fossa , 575 Tombe (scavi 1992-2000)
3. Barisciano, loc. San Lorenzo, 150 Tombe
4. Poggio Picenze, loc. Varranone, 250 Tombe
5. a. San Pio nelle Camere, loc. Campo Rosso, 25 Tombe b. San Pio nelle Camere, loc. Colli Bianchi, 200 Tombe
6. a. Caporciano, loc. Cinturelli, 250 Tombe b. Caporciano, loc. Campo di Monte 11 Tombe
7. Capestrano, 300 Tombe (ca. 50 Tombe e altre rinvenute duranti gli scavi dell’anno 2009)
8. Navelli, 10 Tombe
9. Peltuinum / Prata d’Ansidonia (scavo 2009), ca.
123 Tombe (delle quali 54 arcaiche) Per completare, vi sono anche le necropoli recentemente scoperte, ma finora appena citate di Rapignale e S. Lorenzo, così come le nuove necropoli scoperte grazie alle fotografie aeree di S. Demetrio nei Vestini, località Colle Sinizzo, Prata d’Ansidonia, località S. Nicandro, S. Demetrio, località Macerine e Capestrano, località Colle S. Giuliano. La prima necropoli ad essere pubblicata integralmente è stata quella di Fossa, della quale circa 150 sepolture si datano nell’Età del Ferro. Questa necropoli si trova a soli 4 Km a est di Bazzano, ma, ciononostante, insieme ai prevedibili caratteri comuni è possibile cogliere anche alcune differenze nei rispettivi costumi funerari. Vicino a Fossa, nell’area aquilana, era stata finora pubblicata in modo completo solo la piccola necropoli di Caporciano, in località Campo di Monte. Al di fuori di questa zona, sono state finora pubblicate integralmente le piccole necropoli di S. Benedetto in Perilis, località Colle Santa Rosa, e quella di Teramo, località La Cona.

Anche il materiale delle sepolture dei secoli tra il VII ed V a.C. di Campovalano è ora quasi completamente disponibile. Inoltre, sono stati pubblicati molti corredi di tombe dalle necropoli di S. Egidio alla Vibrata, Basciano, Loreto Aprutino, Pescara e Comino-Guardiagrele. Delle necropoli di Barrea, Capestrano, Caporciano, Castel di Ieri/Forca Caruso, località Le Castagne, Molina Aterno, Moscufo, via Petrarca, Opi Val Fondillo, Tornareccio, Torricella Peligna, Vasto sono note relazioni preliminari e anche alcuni corredi di tombe. Solo nella Marsica propriamente intesa (quella storica) non sono stati rinvenuti recentemente resti di una certa importanza di età arcaica (seppure non manchino rinvenimenti fortuiti) : le tombe di Celano, località Le Paludi si datano al tardo Bronzo e le inumazioni di Scurcola Marsicana, Avezzano, località Cretaro/Brecciara e anche quelle ipotetiche di Carsoli vengono già ascritte agli Equi. Dal momento che il territorio del gruppo che nella ricerca archeologica viene identificato con gli Equi si estende ampiamente nel Lazio odierno con le necropoli di Riofreddo e Borgorose (Equicoli), si è tentato recentemente con mostre ed un convegno di ricongiungere la divisione della ricerca archeologica, condizionata dalla ripartizione regionale moderna. Dalla parte estrema nord-occidentale dell’Abruzzo, a ovest de L’Aquila che, generalmente, viene considerata territorio sabino, vanno ricordate le importanti scoperte delle necropoli di Montereale e Pizzoli.

Esse sono particolarmente significative in riferimento alle relazioni culturali con la Conca Aquilana e, in particolare, con Bazzano, dal momento che, ad oggi, non si conosceva quasi alcun reperto nella Sabina interna intorno ad Amiternum databile alla prima Età del Ferro e all’età arcaica, sebbene quest’area nelle fonti antiche sia ricordata da Catone e Varrone come il fulcro dell’etnogenesi dei Sabini. Tuttavia, anche in questa zona l’andamento del confine tra Abruzzo, Lazio e la parte meridionale delle Marche, inclusa l’Umbria, impedisce una visione d’insieme delle relazioni archeologiche nell’Età del Ferro. Così, ad es., la necropoli di Amatrice nel Lazio e, verosimilmente, la maggior parte del territorio laziale della Valle del Tronto appartengono allo stesso ambito culturale. Uno dei maggiori problemi della ricerca consiste nella povertà di rinvenimenti della Sabina interna, soprattutto nella Conca Reatina (cioè attorno a Rieti), motivo per cui le nuove scoperte di tombe a Norcia (Umbria) hanno in qualche modo migliorato la situazione. A prescindere da elementi unificanti comuni, come l’armamento, esistono evidenti paralleli anche tra la Sabina tiberina settentrionale (Magliano Sabina, Poggio Sommavilla e piccoli centri come Castellano, presso Magliano Sabina) e Bazzano per quanto riguarda la ceramica incisa d’impasto decorato, che rimanda ad un sostrato culturale simile, il quale, verosimilmente, connette tra loro gruppi archeologici della Sabina interna. I centri della Sabina settentrionale rappresentano inoltre importanti punti di riferimento per lo scambio culturale e per la “trasmissione” dei prodotti provenienti dall’Etruria (nella fase più antica esclusivamente dall’Etruria meridionale, in seguito anche dall’Etruria interna, in particolare da Orvieto), così come dall’agro falisco-capenate (attraverso il Tevere) nella Sabina interna fino a Bazzano. Dopo il terribile terremoto del 6 Aprile 2009, che ha provocato ingenti danni a L’Aquila e dintorni e, quindi, anche a Bazzano e a Fossa, superata la fase di shock iniziale, sono stati nuovamente intrapresi scavi, mostre e congressi, per tornare ad una qualche normalità. Nella necropoli di Capestrano, località Capo d’Acqua, sono state scoperte altre 56 sepolture ed è iniziato lo scavo della necropoli preromana di Peltuinum che aveva potuto essere localizzata per la prima volta nel 2003 grazie a fotografie aeree. Significative sono anche le prospezioni dell’École Française sugli insediamenti di altura di età preromana e gli scavi di abitato condotti nell’insediamento di Capestrano dall’Università di Chieti. Nel 2010 sono apparse anche tre importanti pubblicazioni sull’età del Ferro in Abruzzo: la più volte citata pubblicazione integrale delle tombe arcaiche di Campovalano, le ricerche sulle sepolture dal IV fino al I sec. a. C. in Abruzzo e Pinna Vestinorum I, un pregevole volume di carattere divulgativo-scientifico con un apparato fotografico di eccellente qualità, dedicato quasi integralmente alle testimonianze archeologiche del territorio vestino. Con i “Quaderni di Archeologia dell’Abruzzo. Notizario della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo”, anche la ricerca archeologica abruzzese possiede finalmente un propria sede di pubblicazione. Nel volume 1, 2009 (2011) sono stati presentati i nuovi scavi in modo più dettagliato, come ad esempio le necropoli di Avezzano (AQ), località Cretaro-Brecciara, e di Pizzoli (AQ).

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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