Publio Ovidio Nasone

 

Publio Ovidio Nasone nasce a Sulmona nel 43 a.C.  –  Poeta delle Metamorfosi e dell’Ars amatoria 

Ovidio stesso ci parla della sua vita nell’ultima elegia dei Tristia (IV, 10). Nacque a Sulmona, nel 43 a. C., da famiglia equestre. Fu inviato dal padre a Roma con il fratello, per studiare eloquenza e avviarsi alla vita politica; ma mentre il fratello era per indole portato all’arte oratoria, egli si sentiva portato alla poesia. Entrò perciò nel circolo di Messalla e si diede alla vita mondana, divenendo ben presto poeta galante, brioso e malizioso di quella società.

Ebbe tre mogli: dalle prime due divorziò poco dopo le nozze; la terza invece, di nome Fabia (appartenente alla nobile famiglia dei Fabii), che sposò a 50 anni, gli fu fedele compagna per il resto della sua vita, e durante la relegazione intercedette sempre per l’infelice marito. Giunto all’età di oltre 50 anni, sulla fine dell’anno 8 d. C., Ovidio fu relegato (relegatus, non exul: rimaneva in possesso dei beni non confiscati) a Tomi (oggi Costanza), sul Mar Nero, per ordine improvviso di Augusto. Incerta ne è la ragione: Ovidio, in un’elegia dei Tristia (II, 1) accenna a un carmen, probabilmente l’Ars amatoria, che appunto in quel tempo fu esclusa dalle pubbliche biblioteche, e che andava contro con la sua licenziosità alle severe norme in materia matrimoniale emanate da Augusto. Il poeta accenna anche a un error (per i quale si è pensato a Giulia, nipote di Augusto, che appunto in quell’anno fu anch’essa relegata, e delle cui scostumatezze Ovidio sarebbe stato testimone e compartecipe). Il carmen fu forse un pretesto, perché l’Ars amatoria era già pubblicata da dieci anni, e l’error la ragione reale. A Tomi Ovidio visse tra grandi amarezze, benché gli abitanti, avendo egli appreso la loro lingua e composto in getico alcuni carmi, lo prendessero a ben volere e lo incoronassero poeta. Augusto non volle recedere dalla propria decisione: Ovidio non rivide mai più Roma né riuscì a trasferirsi in una sede meno disagevole. Continuò comunque a scrivere (Tristia, Epistulae ex Ponto). Il clima malsano fece presto ammalare Ovidio e neppure il successore di Augusto, Tiberio, volle ascoltare le sue suppliche: il poeta morì dopo nove anni di relegazione, nel 17 d. C.

Opere

Le opere di Ovidio si possono distinguere in tre gruppi: erotiche, epiche e dell’esilio. La stagione dell’amore elegiaco e il suo superamento L’esordio di Ovidio avviene con gli Amores, una raccolta di elegie d’amore in distici elegiaci pubblicata nel 23 a. C. Negli Amores il poeta canta l’amore per Corinna (lo pseudonimo riprende il nome di una poetessa greca), anche se con un tono spesso ironico e scanzonato. Ovidio canta più l’amore-passione esclusivo e dirompente, non pone nel proprio amore alcuna profondità morale. Anzi suggerisce che il suo rapporto con la ragazza sia biograficamente inconsistente, quasi un’invenzione; in molti passi dichiara di non potersi appagare di un amore solo, di preferire due donne, di essere sensibile al fascino di qualsiasi bella donna. La stessa Corinna appare una figura priva di consistenza. Contemporaneamente agli Amores, Ovidio lavorava alle Heroides (Eroine). Si tratta di una serie di 15 lettere d’amore, composte sempre in distici elegiaci e pubblicate intorno al 18 a. C., alle quali Ovidio aggiunse poi anche una seconda serie di tre lettere che contengono anche le tre risposte degli amanti e che venne pubblicata tra il 5 e l’8 a. C. L’amore è protagonista anche delle Heroides. L’autore finge che a comporre queste epistole in versi siano eroine del mito greco, che si rivolgono per lettera ai loro amanti o mariti. Abbiamo così le epistole di Penelope a Ulisse, di Arianna a Teseo, di Elena a Paride, di Medea a Giasone, di Fedra a Ippolito, di Briseide ad Achille. Accanto al mito greco figura il mito romano: una lettera è scritta dalla Didone virgiliana a Enea. Compare inoltre una figura storica, la poetessa greca Saffo, che nella finzione di Ovidio scrive all’uomo di cui è innamorata, Faone. Nelle Heroides l’amore ritorna a essere una fonte di vita e di sofferenza. Ovidio offre qui la prima prova della sua straordinaria abilità nel tratteggiare le sfumature dell’animo femminile. Sempre in distici elegiaci Ovidio compose anche una serie di opere didascaliche sull’amore. Il suo insegnamento non è però serio, ma ironico e scherzoso. La prima e più riuscita di tale opere è l’Ars amatoria o Ars amandi, in 2 libri, ciascuno dei quali si sviluppa per circa 800 versi, che insegna agli uomini come conquistare le donne e come conservare la conquista amorosa; fu pubblicata tra l’1 e il 2 d. C. Quasi subito il poeta aggiunse il libro III, destinato alle lettrici, su come sedurre gli uomini. Con l’Ars amatoria Ovidio rinnovò profondamente il genere didascalico: l’amore di cui il poeta si faceva maestro era un sentimento senza passione, senza gelosia o angoscia, un gioco disimpegnato di corteggiamento. Per questo l’opera destò un clamoroso scandalo: l’Ars si poneva al di fuori del clima di restaurazione morale voluta dal principe. Si trattava di un ribaltamento anche letterario. Infatti l’opera piegava la solennità e la serietà dell’impianto didascalico a un tema frivolo; capovolge la tragica serietà dell’amore, quale era sentito da Catullo o da Properzio, in una maliziosa galanteria. Ai suoi lettori Ovidio insegnava la sottile strategia e le tattiche del gioco d’amore. Se qualcosa l’Ars poteva insegnare, non era altro che la simulazione dei sentimenti. Il seduttore di successo deve infatti fingersi amante appassionato e fedele, non deve lasciarsi coinvolgere. Alla fine l’amore diviene semplicemente l’arte di piacere e di farsi desiderare: nulla più che un gioco, un mezzo per vincere la noia. Subito dopo l’Ars, Ovidio completò il corpus delle sue opere didascaliche con altri due scritti (sempre in distici elegiaci): i Medicamenta faciei femineae (I cosmetici della bellezza femminile) e i Remedia amoris (Rimedi contro l’amore). Del primo poeta restano solo i primi cento versi: il poeta dà consigli alle donne su come curare il proprio aspetto, mascherando eventuali difetti fisici. Nei Remedia capovolge la precettistica dell’Ars: se qualcuno si fosse immedesimato troppo nella parte dell’amante elegiaco il poeta ha pronte le sue ricette per guarirlo. Ricompare la concezione dell’amore come gioco, passatempo galante e disimpegnato. Il rovesciamento dell’amore elegiaco si è così completato.

La nuova epica ovidiana della maturità

Metamorphosen libri (Metamorfosi) sono un poema epico-mitologico molto ampio, di 15 libri in esametri. Scritto subito prima dell’esilio (tra il 2 e l’8) appare completo. Il tema della metamorfosi, dell’incessante fluire e mutarsi della realtà, presenta una grande varietà di vicende e personaggi. Possiamo individuare tre grandi momenti: storie di dei (libri I-Vi), storie di eroi (VI-XI), vicende di personaggi storici di Roma arcaica (XI-XV). Vertice della produzione matura di Ovidio, le Metamorfosi costituiscono anzitutto l’atto di sfida di un poeta che vuole aprire vie nuove a un genere, l’epica, che sembrava aver raggiunto con l’Eneide un traguardo insuperabile. Ovidio, associando finezze alessandrine e tonalità elegiache a una inarrestabile vena narrativa, costruisce un vasto gioco di incastri e di specchi, un labirinto di immagini e di motivi, un mondo illusionistico dove la metamorfosi è la chiave dell’esistenza, dove nessuna forma è certa e stabile, dove tutto, in un istante, può tramutarsi in latro. La vita stessa alla fine, tende a perdere coerenza e coesione, a smarrire il confine tra realtà e finzione. Nelle Metamorfosi l’autore dà voce ai miti e alle storie più diverse. Delicate vicende d’amore si alternano a scene cosmiche, catastrofi guerresche a torbide passioni, esempi di amore coniugale a patetiche storie di amori infelici. Il racconto sembra nascere continuamente da se stesso, non aver inizio né fine, essere fuori dallo spazio e del tempo. Il racconto sembra crescere e assumere una struttura circolare. Ma tutto questo avviene senza perdere mai di vista il mondo delle piccole cose quotidiane. Il poeta delle Metamorfosi le raffigura con grande realismo e con simpatia sorridente, senza mai dimenticare che protagonista assoluto è sempre l’uomo, con le sue passioni, nobiltà e grandezze. Il messaggio dell’opera può essere così riassunto: il mondo, gli uomini, ogni realtà, tutto muta, perennemente, cambia il proprio essere e si trasforma in altro. Il poema riassume un nuovo modo di conoscere e una nuova sensibilità. Le Metamorfosi diventano il testo delle illusorie apparenze che ci circondano e nelle quali leggiamo il senso di un destino incerto: è il relativismo ovidiano. Dalle Metamorfosi prende insomma vita un mondo incerto, sfuggente, espressioni di una profonda crisi spirituale. Parallelamente alle Metamorfosi, Ovidio elaborò i Fastorum libri (Fasti), un’opera erudita dedicata a illustrare le cause delle feste del calendario romano. Il poemetto prevedeva 12 libri uno per ogni mese dell’anno, ma ne completò solo 6. Si tratta a suo modo di un altro poema epico; ma a differenza dell’epica narrativa delle Metamorfosi, i Fasti disegnano un’epica di tono erudito. I Fasti sono in distici elegiaci: viene illustrata la tradizione romana del passato dal punto di vista dei riti, delle usanze, dei nomi delle divinità ecc. Ne nasce una specie di enciclopedia della romanità, apparentemente vicina allo spirito della restaurazione culturale pro ossa da Augusto: ma in realtà l’interesse di Ovidio per le cose antiche è mosso da curiosità culturale e da spirito erudito; a differenza di Virgilio egli non pensa affatto che nel passato siano rintracciabili valori e ideali da riproporre nel presente. La stagione dell’esilio e l’elegia “triste” Con l’esilio si aprì per Ovidio una stagione nuova. Il poeta non cessò di scrivere, ma dovette porsi obiettivi nuovi. Ovidio piega il genere elegiaco ad accenti e tonalità molto diversi da quelli consueti: è un’altra faccia del suo incessante sperimentalismo.

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Nacquero così i Tristia (Tristezze), 5 libri di elegie

Il primo venne composto durante il viaggio alla volta di Tomi. Il secondo, scritto dal luogo di esilio, si compone di un’unica elegia di autodifesa indirizzata ad Augusto e pubblicata nel 9 d. C. Dal 9 al 12 videro la luce gli altri tre libri con componimenti rivolti a vari destinatari non nominati per ragioni di prudenza, a eccezione della moglie dell’autore. Seguirono (dal 13 fino alla morte) le Epistulae ex Ponto, 4 libri di lettere poetiche in distici elegiaci, scritte a corrispondenti romani, i cui nomi sono precisati. Lo scopo primario del poeta era quello di illustrare al pubblico romano la propria mutata condizione: Ovidio si rivolge perciò agli amici altolocati che potrebbero intercedere in suo favore; cerca di commuovere l’opinione pubblica autopresentandosi ossessivamente come prigioniero di un mondo di decadenza e sterilità, di un paese abitato da selvaggi, freddo e squallido, che diviene la proiezione esteriore di una malattia dell’anima. Nelle elegie “tristi” scritte a Tomi trova espressioni una sensibilità nuova verso la vita: sottratta ai toni leggeri, spensierati e gaudenti, essa acquistata un’inedita dimensione di dolente frustrazione, di pena, di sconfitta.

La novità di Ovidio

L’interprete del suo tempo. Per comprendere e interpretare in modo unitario la vasta produzione ovidiana, dobbiamo anzitutto riflettere sul fatto che Ovidio fu l’ultimo, in senso cronologico, dei grandi poeti augustei. Affermatosi nel tempo in cui la pax Augustea si era ormai consolidata rimase di fatto estraneo alla drammatica stagione degli odi civili e dei loro lutti. Per questo si fece interprete dell’attesa generale di una poesia più “leggera”, formalmente raffinatissima, ma disimpegnata rispetto alle grandi tematiche di Virgilio e Orazio. Nelle Metamorfosi e nei Fasti Ovidio si dimostrò non insensibile agli ideali tradizionali e alle esigenze della propaganda di regime; sapeva adeguarsi a tutti gli aspetti del reale senza identificarsi in nessuno di essi. Su tutti imprime il marchio della della sua poesia da “intrattenimento”, sia pure in senso nobile, e dagli elevati livelli compositivi. E anche quando nelle Metamorfosi canta i racconti mitologici greci, oppure nei Fasti le tradizioni arcaiche di Roma, il poeta si pone psicologicamente ben distante da quei riferimenti: per lui si tratta di temi letterari. Con impudenza infatti dichiara nell’Ars amatoria di voler vivere solo nel presente.

Il pubblico

Ovidio riuscì a stabilire un rapporto davvero nuovo von i propri lettori. Mentre Catullo si rivolgeva a pochi eletti, alla cerchia degli amici o poco più, i poeti augustei come Orazio, Virgilio e Properzio tendono a rivolgersi a una collettività nazionale: comune al primo e ai secondi rimane però un’idea aristocratica di poesia. Ovidio è invece il poeta di un pubblico più largo, che chiede un accesso più agevole alla letteratura; un pubblico interessato non tanto a temi impegnativi sul piano civile o esistenziale, ma desideroso soprattutto di intrattenimento, di riempire con buone letture gli spazi gli spazi sempre più larghi dell’otium quotidiano. Ovidio fu il primo poeta della letteratura occidentale a dare risposta a queste esigenze: pur senza rinunciare a nessuna delle qualità (cura formale, finezza argomentativa, equilibrio compositivo ecc.) richieste dalla poesia più elevata, egli seppe fornire anche un prodotto letterario più gradevole r coinvolgente, pensato non solo per la cerchia ristretta dei dedicatari, ma anche adatto ai lettori comuni, quelli provvisti di un’istruzione medio-alta. Ovidio prepara con cura il successo delle sue opere: il suo obiettivo è la fama letteraria, non la divulgazione di un messaggio. Perciò si appella con confidenza al suo lettore anonimo, cui si rivolge con alcune formule ricorrenti; sa come coltivarselo, proponendogli con continuità opere nuove e nuovi generi e spesso anche riedizioni e rifacimenti di opere già pubblicate.

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Lo stile

Elegia e retorica. Già nelle elegie amorose giovanili e nei poemetti didascalici Ovidio si dimostra in possesso di una non comune perizia compositiva; sa come annunciare i propri temi, come svilupparne le implicazioni. Si avverte nel poeta esordiente il brillante allievo delle scuole di retorica, specie quando si impegna a discutere una tesi e il suo contrario. Molto interessante sul piano stilistico sono le Heroides. Nelle scuole di retorica era richiesto agli allievi di immedesimarsi in ciò che un personaggio famoso avrebbe potuto fare, pensare o dire in una determinata situazione; Ovidio valorizza questo esercizio prestando alle eroine che scrivono lettere d’amore tutta l’efficacia argomentativa necessaria a convincere i destinatari. Sa come ricavare dai racconti mitici spunti puramente individuali e sentimentali; sa come commuovere, come far emergere la confessione e il monologo dell’anima, come suscitare l’interesse dei lettori per le schermaglie del gioco di seduzione.

Lo stile narrativo delle Metamorfosi

Il capolavoro di Ovidio, le Metamorfosi, nasce da un confronto e una gara con l’Eneide. Tuttavia Ovidio si astiene dallo scrivere un vero (cioè convenzionale) poema epico: mescola invece elementi tipici dell’epica con altri a essa estranei: il risultato è un impasto rischioso ma poeticamente vitale. Ovidio è capace d improvvisi abbassamenti, di impennate fino al registro epico e di cadute al livello elegiaco-pastorale. L’esametro ovidiano suona ben diverso rispetto a quello di Virgilio. Quello delle Metamorfosi è un verso volubile e un po’ irridente: rinuncia alla prospettiva onnisciente e impersonalmente oggettiva dell’epica, per dare spazio al commento del poeta e per sollecitare il lettore a condividerne il distacco e, talora, il sorriso. E se Virgilio dava vita a sequenze poetiche “drammatiche”, che fanno via via spazio all’emergere del sentimento dei vari personaggi, Ovidio ricorre a unità più brevi, fatte di versi singoli o al massimo di due o tre versi; dopo di che il racconto riparte e scorre illuminando nuovi particolari, nuove situazioni. Il risultato è un linguaggio poetico un po’ povero sul piano della passionalità, della concentrazione, ma assai più fluido e narrativo. A Ovidio interessa principalmente il dipanarsi armonioso del racconto e suscitare interesse nel lettore; per tenere desta la sua attenzione, arriva a interrompere un libro proprio nel mezzo di una storia: un espediente a cui Virgilio non avrebbe mai fatto ricorso.

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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