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Storia della cittadina di Ateleta e di antichi mestieri

Sui tre feudi di Roccapizzi, Carceri e Asinella, passati con rapido avvicendamento nelle mani di diversi signori, sorsero nel XVIII secolo le attuali frazioni ateletesi e poi lo stesso capoluogo comunale: a fondarlo fu, all’inizio dell’Ottocento, Gioacchino Murat, che affrancò alcuni gruppi di contadini soggetti ai dispotici baroni locali dal pagamento delle tradizionali imposte, al fine di favorire lo sviluppo agricolo dei luoghi -il toponimo significa appunto ‘privo di tributi fiscali’-. L’abitato si trovò nel corso dell’ultima guerra sulla linea del fuoco del fronte di Cassino e fu quasi interamente distrutto dalle truppe tedesche in ritirata; circa un decennio prima un catastrofico terremoto aveva arrecato danni altrettanto ingenti. La chiesa di S. Gioacchino, edificata nel XIX secolo e poi distrutta durante l’ultimo conflitto mondiale, fu ricostruita più in basso come tangibile segno di riconoscenza verso l’antico benefattore.

Ateleta è un comune di 1.174 abitanti, parte della Comunità Montana Alto Sangro e Altopiano delle Cinquemiglia. La superficie comunale è di 4.169 ettari e comprende il nucleo abitato del capoluogo e le frazioni di Carceri Alte, Carceri Basse e Sant’Elena.
Ateleta è il comune più orientale e meridionale della provincia dell’Aquila, posta su territori della sponda sinistra del fiume Sangro, a un’altitudine compresa tra i 737 metri della stazione ferroviaria e i 1.883 metri di Monte Secine. La montagna ateletese per antonomasia è, appunto, il Monte Secine, ma è frequentata d’estate anche la zona del Monte dell’Ellera (Merzoni) che raggiunge l’altezza di 1.481 metri. Il Monte Secine domina la vallata dove scorre il Sangro, dove si ritrovano centinaia di pescatori di trota e dove un tempo si trovava il gambero d’acqua dolce.
Folti boschi ricoprono colline e pianori; cerri, faggi e alberi a foglia caduca colorano il paesaggio, particolarmente suggestivo nella stagione autunnale. Nel sottobosco si trovano prataioli, spinareie, talora anche porcini, e soprattutto i tartufi, di cui questa terra è particolarmente ricca.

 

 

STORIA
I primi agglomerati ateletesi risalgono a un periodo non lontano dall’anno 1000 e sono localizzati nelle zone di Roccapizzi, Carceri e Asinella, siti poi distrutti dal terremoto del 1456.
Nel Settecento alcune famiglie di Pescocostanzo, a causa della crisi della pastorizia, si trasferirono in queste zone, pertanto, la popolazione raggiunse, alla fine del secolo, 607 persone.
Durante l’occupazione napoleonica, Giuseppe De Thomasis fece pressione presso Gioacchino Murat, affinché fosse istituito il comune di Ateleta e per incentivare l’arrivo di coloni, venne abolito il pagamento della tassa fondiaria e, infine, il 14 febbraio 1811 fu istituito il nuovo Comune di Ateleta.
Col passare del tempo, la popolazione arrivò a toccare i 3.000 abitanti, ma all’inizio del Novecento, a causa della povertà e di mille difficoltà, molti emigrarono verso l’America.
Durante la seconda guerra mondiale Ateleta conobbe la devastazione di quasi il 90% del suo territorio disgraziatamente posizionato sulla linea Gustav.
Dopo gli anni Cinquanta riprese ancora una volta il flusso migratorio verso nazioni che offrivano prospettive di vita migliori.
Ad oggi, l’unico sito archeologico presente sono i resti di un antico castello, nella zona Carceri, andato distrutto nel terremoto del 1456.

LUOGHI D’INTERESSE
Per quanto riguarda i luoghi di maggior interesse, sicuramente al primo posto troviamo la chiesa parrocchiale di San Gioacchino, costruita nell’Ottocento dagli architetti Pennisi e Savelli e rielaborata dopo i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Essa presenta caratteristiche classicheggianti come la facciata simile ad un tempietto greco e molti mosaici all’ingresso. Particolare anche il campanile, costituito da una vera e propria torre.
Va poi annoverata Rocca di Carceri, un’antica fortificazione situata nell’omonima località, distrutta dal terremoto molisano del 1456. Dell’antica costruzione, di cui rimaneva ancora qualche parte del castello, usato come bagno penale, oggi rimane poco, tranne il perimetro di base fuso con la roccia dello sperone montuoso.
Infine c’è il Museo della Civiltà contadina, sito all’interno del comune, che raccoglie gli strumenti della campagna.

TRADIZIONE CULINARIA
Il punto di forza di questa zona è certamente l’agnello, cucinato in vari modi ma specialmente alla brace, sopra i tizzoni ardenti di legna di cerro; agosto è festeggiato, infatti, con la Sagra dell’agnello.
Come primo piatto abbiamo la zuppa, fatta di frittelle tagliate a dadini dove compaiono: uova, sale, farina e facoltativo il prezzemolo, immerso in un brodo di gallina.
Caratteristica è anche la pasta alla chitarra, dove la pittra, la sfoglia di pasta, viene rullata con yu-laanar, il mattarello, sopra l’attrezzo chiamato chitarra; il tutto viene condito col sugo d’agnello, particolarmente la parte della pancetta.
Ci sono poi le brasciole, dove si amalgamano cacio grattato grossolanamente, uova e prezzemolo, impastato a mo’ di polpetta che va fritta e poi messa dentro un sugo di pomodoro.
Come dolce, potrete assaggiare le pizzelle, dolce tipico fatto di un impasto di uova, farina, zucchero ed un po’ di liquore, il tutto spalmato sopra un ferro caratteristico che reca intarsi a forma di rombi ed al centro le iniziali delle famiglie, e messo a scaldare sopra il fuoco del caminetto.
Le pizze fritte con farina, uvetta scorza di limone o arancio e, una volta plasmato tipo frittella, l’impasto va cotto in olio bollente.

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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