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Bominaco misterioso ed inedito

 

Bominaco è un minuscolo borgo nel cuore della piana di Navelli, quasi mille metri sul mare, tra il Gran Sasso e il Velino. Qui nel IV secolo fu martirizzato san Pellegrino, giunto dalla Siria per predicare il cristianesimo. Trenta chilometri dall’Aquila, nel cuore dell’Abruzzo, una ottantina di abitanti appena. Ma ha un re. Si chiama Nicola ed è il nume del ristorante alle Origini. È alto, ha occhi penetranti e gentili, un sorriso trattenuto. Ha gesti ampi delle braccia e indica i punti cardinali. Parla gioiosamente della sua terra in capo alla tavola generosa che ci ha imbandito

Di Giandomenico Mazzocato

Narra la storia dello zafferano. Come lo si coltiva, la pazienza infinita che occorre per arrivare agli stimmi dall’aroma unico e preziosissimo. Il lavoro coinvolge tutta la famiglia ed è una integrazione del reddito. Talora basta una incursione di cinghiali per rovinare una stagione. Lo importò dall’Oriente un monaco, Santucci, trovando ambiente e terreno ideali. 20 chili (sì chili, non quintali) all’anno, più qualche produttore che segue canali meno ufficiali per la vendita. Gustiamo gli imperdibili ravioli allo zafferano e a me tornano in mente le parole di Marcello Fois. Lo scrittore sardo ricorda i mercanti fenici che per primi portarono in occidente la spezia più preziosa dell’oro. Ed evoca i carovanieri che invitavano i fortunati (e danarosi) acquirenti a munirsi di una bussola olfattiva attraverso la quale fosse possibile concepire connessioni altrimenti inarrivabili. Già, il naso e l’olfatto come bussola. Assoluto. Nicola ci vende vasetti con gli stimmi che hanno il bagliore del sole e il fulvo della porpora. Scopriamo che in città, poco distante, i prezzi sono molto, ma molto, più alti. A qualche metro dalle nostre tavolate i due incredibili luoghi che abbiamo visitato nella mattinata, la chiesa di santa Maria Assunta e l’oratorio dedicato al santo martire Pellegrino.

Quanto resta dell’antico complesso monastico benedettino di Momenaco (antico nome del borgo attuale), dopo la distruzione avvenuta nel 1423 nella piccola guerra tra gli abati del borgo e i vescovi che ne rivendicavano il controllo. E comunque centro di irradiazione di civiltà perché le genti di queste parti nel 1254 recarono il loro apporto alla fondazione e alla costruzione della nuova città (L’Aquila, appunto) voluta da Federico II di Svevia. Siamo sul tracciato del Tratturo Magno, tra le vie Claudia Nuova, Minucia, Cecilia e Claudia Valeria. La chiesa di santa Maria Assunta, edificata forse da Carlo Magno che era da queste parti nell’anno 800. Al re dei Franchi, dice la leggenda, apparve in sogno san Pellegrino che gli ingiunse di costruire un monastero e gli edifici ad esso connessi. Le tre absidi della chiesa hanno un fiero aspetto medievale. Ci attenderemmo di veder sbucare, salmodianti, i monaci de Il nome della Rosa. Splendente romanico abruzzese che conserva elementi come la cattedra, l’altare e il ciborio, il candelabro pasquale. E l’ambone, maestoso. Semplice ma elegantissimo e solenne. Poco discosto l’oratorio di san Pellegrino. Nella parte retrostante un rosone decentrato rispetto alla porta. Forse per oggettivi motivi di spazio. Ma chi può dire. La luce entra dalle aperture ed è un pennello luminoso che in certe ore e in certi giorni va a colpire e dunque a sottolineare qualche elemento interno alla chiesa. E l’interno lascia basiti e sconvolti.

Lo stupore di trovare in quel borgo un tesoro così importante e assolutamente sconosciuto, è grande. Un ciclo (più cicli, anzi, cui lavorarono almeno tre maestri di grande valore) di affreschi risalenti alla seconda metà del XIII secolo. 470 metri quadrati! Storie dell’antico e del nuovo testamento e naturalmente episodi della vita di san Pellegrino. Letteralmente avvolgono il visitatore. Il fedele, bisognerebbe dire, se pensiamo alla funzione di biblia pauperum delle rappresentazioni che ricoprono per intero la volta e le pareti. Tra gli affreschi vedo anche quell’archetipo della pietà popolare che è San Martino, cui ho dedicato tanti studi e tanta scrittura. Colpisce il cosiddetto calendario liturgico bominacense. Documento raro, sei mesi su una parete, gli altri sei sulla parete opposta. Ogni mese è rappresentato con la sua fase lunare, il segno zodiacale, le attività che in quei giorni si svolgono nel mondo agricolo. Un vero e proprio manuale ad uso dei fedeli. Lo spazio interno è diviso in due per tenere separati i battezzati dai catecumeni. Sui plutei divisori, le balaustre in pietra cioè, sono scolpiti ad altorilievo due animali fantastici, un drago ed un griffin. Bominaco, a mio giudizio il momento apicale di un viaggio che aveva promesse alte. Un Abruzzo del tutto sconosciuto e misterioso. Tesori praticamente inediti per trovare i quali bisognava immettersi su itinerari non battuti dal turismo “normale” (ne sa qualcosa il nostro Gerardo, abile e tranquillissimo autista, che ha portato il pullman su stradine decisamente impervie). Beh, promesse mantenute e perfino sopravanzate.

Di Giandomenico Mazzocato

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 941 articoli
Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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