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Le terre alte dell’Abruzzo


Anversa degli Abruzzi

Terre alte d’Abruzzo: tra abbandoni e ritorni

La frequentazione delle montagne dell’appennino centrale ha antiche origini do-vute alla pastorizia transumante e, soprattutto, a quella della monticazione (Micati2000). ma la maggiore presenza umana si è avuta più tardi, nel periodo che va dalla prima metà dell’Ottocento agli anni ’50 del secolo scorso. Con l’eversione della feu-dalità molti terreni baronali ed ecclesiastici si resero disponibili per nuovi coloni pro-venienti da una pastorizia ormai in declino e da un periodo di notevole incremento demografico. Questi coloni, appartenenti ai ceti meno abbienti, si spinsero fino a 1400-1700 metri di quota per coltivare le vallette più riparate e i ripidi pendii dopo un lungo lavoro di spietramento e dopo aver realizzato i necessari terrazzamenti. L’abbandono di questi luoghi, dopo l’ultima guerra, è stato improvviso. Nell’arco di pochi anni i terreni della media montagna tornarono deserti, percorsi solo dagli spa-ruti greggi della pastorizia locale. Il ritorno dell’uomo in questi luoghi ci appare oggi sotto diversi aspetti: nel crescente interesse verso i segni che egli ha lasciato nel corso dei secoli nella sua continua e dura lotta per la sopravvivenza e nel suo perenne bisogno del sacro; nella rinascita di antiche consuetudini pastorali; ed infine nella riscoperta e valorizzazione di colture da tempo abbandonate.

La morra e la solina

Il ritorno sui pascoli delle montagne abruzzesi ha avuto di recente un piccolo ma in-coraggiante incremento dovuto al successo di particolari prodotti caseari di piccole aziende familiari e a due singolari iniziative nate nei paesi di Roccamorice (Pe) e di anversa degli abruzzi (aq): molto diverse fra loro, ma entrambe valide per ricreare interesse verso l’antica pratica della pastorizia. Fino alla metà del secolo scorso co-loro che possedevano pochi capi di bestiame non praticavano la transumanza ma l’allevamento stanziale. Nel periodo estivo affidavano i loro animali a dei giovani che si proponevano per condurli al pascolo dietro modesto compenso. a sera il gregge rientrava in paese ed ogni proprietario riportava i propri animali nella stalla. Una consuetudine pastorale simile a questa, in cui alcuni proprietari creavano un con-sistente gregge di pecore e capre che veniva gestito a turno, era quella della ‘morra’. La ‘morra’ è un gregge di ovini e caprini formato da 250-300 capi, ma con tale termine ci si riferisce anche alla consuetudine pastorale descritta di seguito (SonSini, angelucci 2012). Da alcuni anni questo sistema di gestione è rinato nel territorio di Roccamorice. ad inizio stagione, al rientro dalla prima giornata di pascolo, fissata per consuetudine al 1° maggio, ogni proprietario munge i propri animali e misura la quantità di latte prodotta. In funzione di questa quantità rispetto al totale si determinano i turni di pa-scolo che ciascun proprietario è tenuto a prestare. Il prodotto giornaliero dell’intero gregge spetta al pastore di turno. Tale metodo permette di avere numerose giornate libere, non costringendo chi possiede pochi capi a doverli portare al pascolo giornal-mente. In occasione delle mungiture della sera e del mattino, dato l’elevato numero di capi da mungere, alcuni pastori si recano ad aiutare chi è di turno.

Il mio amico Gabriele è entrato a far parte della ‘morra’ e, con lui, io stesso ho condiviso nella stagione 2011, da maggio ad Ottobre, l’esperienza di portare al pascolo un gregge di 263 pecore e capre ogni 12 giorni. gabriele e la moglie Paola fino a vent’anni fa lavoravano a Pescara, curando l’amministrazione di una piccola azienda di famiglia. Nel corso di una gita sulla montagna di Roccamorice rimasero profondamente colpiti da quel paesaggio dell’abbandono e decisero di trasferirsi sulla majella per iniziare un’at-tività agrituristica. Comperarono un vecchio casolare ed alcuni terreni abbandonati da molti decenni. I primi anni furono di grande sacrificio per entrambi, dovendo restaurare la struttura, mettere a coltura i terreni e badare a tre figlie ancora piccole. Iniziarono la loro attività in modo intelligente, in quanto aderirono ai numerosi progetti del Parco nazionale della majella che proponevano di recuperare antiche colture, le sementi di-menticate. Da questa base sono dunque partiti per il progetto, anch’esso del Parco, “Cuciniamo la diversità”. Oggi coltivano un ecotipo di farro dell’Italia centrale oltre alla ‘mamma’ del grano, la solina; hanno impiantato un frutteto con varietà autoctone e raccolgono le pregiate erbe della majella. ai loro ospiti offrono una cucina antica poi-ché dispongono dei prodotti di una volta, arricchendo la mensa con una colta presen-tazione dei piatti serviti. La presenza, all’ingresso del loro agriturismo (“Tholos”), di una grande capanna a falsa cupola e il recente interesse verso questa tipologia costruttiva li ha spinti inoltre a proporre dei corsi di restauro di capanne e muretti in pietra a secco, contribuendo in tal modo alla salvaguardia e alla valorizzazione del territorio.
Adotta una pecora

I pascoli incontaminati dell’appennino, con le sue cime innevate: un ambiente prezioso, percorso nei millenni da fiumi silenziosi di greggi, presidiato dallo sguardo attento dei pastori. È per consentire la continuazione di queste attività, vero presidio del territorio, che nel 2000 una piccola cooperativa di anversa degli abruzzi, fondata nel 1977 da Nunzio, laureatosi in Economia e Commercio (110 e lode) con Federico Caffè, lancia il progetto “adotta una pecora – Difendi la natura”, per coinvolgere direttamente i consu-matori e renderli parte attiva di un investimento per il futuro di queste aree montane. Immersa nella suggestiva cornice delle gole del Sagittario, circondata da parchi e aree protette, l’azienda conduce 1300 pecore, quasi tutte ‘adottate’ da genitori adotti-vi in tutto il mondo. Il contratto di ‘adozione’ prevede la spedizione, dietro versamento di una somma da 100 a 190 euro, secondo l’opzione scelta, della produzione annua-le della pecora ‘adottata’: formaggio, ricotta, lana, concime, agnello. ma soprattutto in questo modo il ‘genitore adottivo’ si rende partecipe di un’attività millenaria che rischia di scomparire, impoverendo il territorio: il pascolamento infatti ha consenti-to il mantenimento della biodiversità floristica e faunistica, sostenendo la catena ali-mentare dei grandi selvatici e difendendo da erosione e incendi l’ambiente montano. Oggi l’adozione a distanza ha raggiunto tutto il mondo, merito anche della notorietà di alcuni genitori adottivi, come Renzo arbore, Zucchero, Piero Pelù, il nipote del pit-tore Vincent Van gogh, i registi Ferzan Ozpetek e Konchalovskji, e il ‘paroliere’ giulio Rapetti, in arte mogol. Chi ‘adotta una pecora’ riceve, oltre ai prodotti, la carta d’iden-tità con la fotografia della pecora adottata e il certificato di adozione, da cui risulta il sostegno al progetto di sostenibilità ambientale e salvaguardia della montagna. ma il progetto non si ferma: il prossimo passo è un vero e proprio ‘contratto’ di salvaguardia tra allevatori tradizionali della montagna e le associazioni a cui sta a cuore questo ambiente, per garantire attraverso impegni reciproci il futuro di queste terre e il man-tenimento di elevati standard di qualità ambientale e sostenibilità.

Stralcio tratto da
Fenomeni di ritorno nelle Terre alte d’abruzzo
Di Edoardo Micati
Studioso del patrimonio culturale delle montagne abruzzesi, Edoardo Micatiè autore di oltre 150 pubblica-zioni sui segni dell’uomo sulle montagne d’Abruzzo, le relazioni tra la montagna e il sacro, le economie, le ar-chitetture e i luoghi di culto agro-pastorali. Prende parte abitualmente, come relatore, a conferenze ed incontri di studio in tutta Italia. Mail: micatiedoardo@interfree.it.Fig. 2. Il complesso agro-pa-storale in pietra a secco “La valletta”. In complessi come questo si trasferivano intere famiglie da giugno a Settem-bre per coltivare i campi e portare al pascolo le piccole greggi stanziali.
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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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