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Olltre il cratere. Il ruolo delle montagne nella ricostruzione dell’aquilano

Di Enrico Ciccozzi

Abruzzo, tra le regioni dell’Italia peninsulare è quella maggiormente caratterizzata dalla montuosità, con le più alte elevazioni dell’Appennino (Corno grande 2.912 metri) ed il 65% della superficie appartenente alla zona altimetrica della montagna. I rilievi si dispongono su tre allineamenti paralleli, disposti da nordovest a sudest. Le principali catene sono: Laga, Gran Sasso e Maiella a oriente; VelinoSirente e monti della Marsica, nel settore centrale; Ernici-Simbruini ad occidente. Tra un rilievo e l’altro si aprono la valle dell’Aterno, la valle del Gizio e il bacino del Fucino. Nella storia dell’Abruzzo, l’ambiente geografico ha svolto un ruolo prioritario, con la geologia e la morfologia che hanno determinato le regole dell’interazione tra uomo e natura. I rilievi con le loro quote e il loro disarticolarsi in altopiani, sono stati gli elementi decisivi per le forme dell’economia, dell’organizzazione sociale e dell’insediamento: hanno costituito i «personaggi più prepotenti della vita abruzzese».

 

Pastorizia transumante, commercio, agricoltura e bracciantato stagionale hanno consentito di mettere a valore, dal medioevo all’Ottocento, buona parte della superficie utilizzabile, attraverso un reticolo insediativo, composto da centri maggiori nel fondovalle ed i centri minori ad altezze crescenti. Alla fine dell’Ottocento questo equilibrio va in crisi, generando le ondate migratorie che svuoteranno l’entroterra abruzzese, fino a ridurlo a una grande area marginale, privata di funzioni sociali ed economiche. È in questo momento di crisi che compare la montagna nella sua accezione di costruzione «culturale e storica» o addirittura di «invenzione» . Due fattori, il turismo e la politica di tutela ambientale , “costruiscono”, nelle terre alte dell’Abruzzo, un contesto peculiare sia rispetto agli Appennini che alle Alpi . Il Gran Sasso, la Maiella, il Sirente-Velino si differenziano dagli altri rilievi dell’Italia centrale non solo per altezza e morfologia, ma anche perché più di un secolo di escursionismo e di alpinismo hanno aggiunto a questi luoghi significati unici, assimilabili a quelli delle Alpi , anche se legati a quote minori, ad una storia diversa, ad un carattere meno severo dei frequentatori: più liberi dalla retorica della ‘conquista della vetta’, più godibili come terreno di conoscenza, di avventura, di svago.

 

 

A differenza delle Alpi, l’Appennino abruzzese ha avuto una propria, parziale, capacità di mantenersi quale prodotto storico di processi di coevoluzione di lunga durata fra insediamento umano e ambiente, natura e cultura . L’istituzione, nel 1923, del Parco nazionale d’Abruzzo, nell’alta valle del Sangro, segna una tra le tappe più importanti della politica della tutela ambientale italiana. Ad esso si sono affiancati il Parco naturale regionale del Sirente-Velino (istituito nel 1989), il Parco nazionale del Gran Sasso e monti della Laga e quello della Maiella (istituiti nel 1991), nonché una fitta rete di riserve naturali. Questo sistema di aree protette è il più esteso dell’Europa occidentale e copre il 30% della superficie regionale.

Da territorio a cratere
All’interno di un quadro generale segnato dalle dinamiche dello spopolamento e dell’abbandono, si individuano tre ambiti distinti: la conca aquilana (o valle dell’Aterno), la conca sulmontina e il Fucino. Nel contesto aquilano, oltre ai normali esiti della deterritorializzazione si aggiungono quelli del terremoto del 2009 , il declassamento alla dimensione di «cratere» e una ricostruzione basata su un modello insediativo in cui si palesano gli effetti dell’economia, con la cementificazione dell’intera vallata e la dispersione della popolazione. Oggi, in questo desolante panorama, la montagna, è chiamata a partecipare alla produzione di identità, di relazioni sociali, di economie locali, contraddicendo in qualche modo le dinamiche più pervasive. Le catene del Gran Sasso, della Laga e del Velino-Sirente, che delimitano la valle dell’Aterno, sono dei luoghi di eccezionale valore ambientale: le geomorfologie sono legate all’azione del glacialismo e del carsismo; le quote elevate determinano la presenza di un piano vegetazionale sub-alpino e di uno alpino con endemismi e specie relitte; l’isolamento ha consentito la sopravvivenza di una preziosissima fauna. Il sistema territoriale è riassumibile in pochi elementi: le pareti rocciose e i brecciai, i pascoli, le faggete, i boschi misti, il paesaggio agrario a «campi aperti», la trama dell’insediamento agro-pastorale e degli insediamenti difensivi, i borghi accentrati, la città. L’Aquila, nonostante le ridotte dimensioni, presentava un carattere fortemente urbano, con funzioni di accumulazione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti del contado

 

 

La crisi del settore primario ha causato, per i primi cinquant’anni del XX secolo, un impoverimento dell’area. Dagli anni sessanta cominciano a crescere il secondario e il terziario e con essi l’urbanizzazione del fondovalle (di 6 volte in 50 anni): nascono la periferia, il percorso autostradale, i nuclei industriali. Il terremoto ha comportato l’accesso ad una “nuova frontiera”, con una struttura economica segnata da un capitalismo predatorio ed una sovrastruttura sociopolitica retta dall’emergenza. La riduzione del territorio a tabula rasa è superata dalle implicazioni insite nel termine «cratere».

Medie ed alte quote diversi ruoli per la montagna
Di fronte alla dissoluzione di una città, alla crisi generalizzata delle realtà appenninica e alla penetrazione devastante e deludente del modello di sviluppo capitalistico, esistono degli indizi che mostrano come «uno sciame di nomadi, in esodo dalla città consolidata, si stia muovendo verso la montagna alla ricerca di luoghi nuovi capaci di offrire un contrappunto, una geografia alternativa ai velocissimi densi e rumorosi spazi metropolitani». La valle dell’Aterno può essere letta come una bio-regione, con le montagne che costituiscono i serbatoi di risorse che alimentano la città. I grandi altopiani carsici, l’acqua, i pascoli, i boschi, i coltivi sono le risorse di un nuovo progetto di territorio. L’agricoltura, in alcune esperienze, sta svolgendo un ruolo fondamentale per la conservazione dei valori ambientali e della biodiversità, per la produzione alimentare, per la riproduzione dei valori culturali del paesaggio e delle relazioni sociali legate allo scambio. In alta montagna, la fruizione escursionistica comincia a giocare un ruolo significativo nel rafforzamento della coscienza di luogo, incentiva le economie locali, comporta un riequilibrio tra le zone maggiormente sfruttate dal turismo di massa e quelle meno interessate, attraverso i rifugi, la rete sentieristica, le attività di accompagnamento. Nel sistema insediativo storico dell’Appennino centrale i ricoveri pastorali hanno rappresentato l’estremo tentativo di “abitare”, in forma stagionale, le alture. Come già detto, tra fine Ottocento e prima metà del Novecento i pascoli vengono abbandonati, mentre nasce un nuovo tipo di frequentazione della montagna.

 

 

Per garantire questo tipo di frequentazione il Club alpino italiano (Cai) di Roma realizza, tra il 1880 e il 1886, il rifugio Garibaldi sul Gran Sasso. La costruzione di questo rifugio, riletta oggi, assume un valore simbolico: è quasi un incontro mancato tra il mondo agro-pastorale e quello urbano. L’edificio viene realizzato dalle maestranze locali, composte da uomini che alternano pastorizia, bracciantato, lavoro di guida. Questi aspetti del “sapere locale” sono presenti nella figura di Giovanni Acitelli, muratore e primo gestore del rifugio, nonché guida alpina. Il rifugio è posizionato tra i pascoli di Campo Pericoli, a poca distanza dagli ovili e dallo storico tracciato della Portella, ma la sua funzione innovativa è indicata da un posizionamento ottimale per la salita al Corno grande. Seguiranno sul Gran Sasso il rifugio Duca degli Abruzzi (1908), il bivacco Lubrano, il rifugio Franchetti (1960), il bivacco Bafile, il Panepucci e sul Velino il Sebastiani (1922). Oltre ai rifugi realizzati dalle sezioni del Cai, ci sono quelli costruiti da enti locali e associazioni.

La realizzazione e la gestione dei rifugi può essere considerata un vero e proprio atto territorializzante: comporta la denominazione dei siti, il “controllo pratico” su di essi, la costituzione di relazioni. I piccoli rifugi dell’Appennino attraggono soprattutto in quanto luoghi su cui si concentrano cura, interesse, affezione; rappresentano un patrimonio umano, storico, culturale al servizio della collettività. La loro funzione non è tanto quella di “punto di appoggio” per la salita, quanto il dare accoglienza, favorire la socializzazione, incentivare la conoscenza della natura o l’uso dei prodotti alimentari locali. I gestori sono persone di cultura medio-alta, provenienti da contesti urbani, che hanno fatto una scelta consapevole di vita in montagna ed incentrano la loro attività su una visione del rifugio inteso come presidio territoriale. Queste soggettività, mentre tanti residenti dei centri montani fuggivano nelle città, hanno saputo trasformarsi in abitanti, riacquistare una capacità manuale, farsi interpreti del sapere locale, alternare uno sguardo alla pentola e uno alle montagne. I vecchi tracciati pastorali sono diventati percorsi escursionistici, mutando la loro funzione hanno compiuto una sorta di ascesa, toccando, con diverse scale di difficoltà, tutte le vette. La tracciatura, la manutenzione e la mappatura dei sentieri, effettuata dalle sezioni del Cai, hanno rappresentato un’importante attività di conoscenza e di cura del territorio, che ci consegna 5.000 km di sentieri, descritti attraverso una ricca bibliografia e un’ottima cartografia tematica

 

 

Ai sentieri si aggiungono centinaia di vie di arrampicata, canali innevati, creste panoramiche, itinerari sci-alpinistici, cascate di ghiaccio. Già a fine Ottocento si formano le prime guide e con il diffondersi dell’escursionismo e dell’alpinismo, l’accompagnamento in montagna è diventato un’attività lavorativa che coinvolge circa 200 persone19. Le guide, oltre alle competenze tecniche e alle garanzie di sicurezza, hanno un ottimo livello di conoscenza del territorio, del quale, di fatto sono diventati custodi. Le attività svolte coinvolgono migliaia di persone l’anno e contribuiscono ad accrescere il rapporto tra i cittadini e il patrimonio ambientale. Esistono anche altri segnali positivi: il Parco nazionale del Gran Sasso – Monti della Laga ha fatto un grosso investimento sulla rete sentieristica e sul recupero degli edifici da adibire a rifugi e nel dicembre 2016 la regione ha approvato una legge per «l’istituzione Rete escursionistica alpinistica speleologica torrentistica Abruzzo, per lo sviluppo sostenibile socio-economico delle zone montane e nuove norme per il Soccorso in ambiente montano». Queste esperienze, più che descrivere una realtà consolidata, indicano delle possibilità: un movimento che con modalità inedite sta restituendo alla montagna, marginalizzata dalla modernità, un nuovo ruolo.

♥ Questo articolo è dedicato a Davide De Carolis, guida, tecnico di elisoccorso, gestore di rifugi, psicologo. La sua vicenda ci ricorda quanto sia bello vivere in montagna.

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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