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Pietranico un borgo con lo sfondo della Majella

 

Storia

La prima attestazione storica di Pietranico la troviamo nel “Privilegium Fundationi Ludovicis II Imp.”, dove si legge: “solemniter largimur qua castella et res inferius Petram Iniquam”, l’elargizione dei beni e dei castelli nel territorio pietranichese era in favore dell’Abbazia di San Clemente.

Il suo nome ricorre ancora in un altro documento risalente al tempo di Gisone, ventottesimo Abate del Monastero casauriense, il quale recupera dal Gastaldo Sansone, intorno agli anni 1113, alcuni territori di Pietranico.

In un altro documento dell’anno 1114, l’imperatore Lotario dà conferma della “donazione primitiva” del feudo pietranichese al “grande cenobio di Casauria”. Il suo nome compare ancora in un documento d’eccezione: sulle porte di bronzo dell’Abbazia di San Clemente. Com’è noto queste furono fuse nell’anno 1191, quando era Abbate Gioele, successore del prestigioso Leonate. Mentre Petra Iniqua si legge su una formella della porta sinistra, sulla settima, opposta nella porta di destra, viene ricordato “Castrum Ripalte” del territorio di Pietranico. Di esso non si conosceva traccia, ma doveva sorgere, con ogni probabilità, nell’agro denominato ancora oggi Ripaldi ed aveva lo scopo di presidiare il settore di tratturo che dal valico di Forca di Penne arriva a Cugnoli: i Monaci benedettini erano molto interessati alla transumanza e sorvegliavano perciò i percorsi delle greggi.
Di nuovo troviamo il suo nome nel “Regestum Feudatariorum” di Re Carlo II, a proposito di una tassazione annuale di 19 once, 7 tareni, 10 grana. Nel registro è precisato, altresì, che è “tenuto da Guglielmo di Letto per intero”.
Nell’anno 1324 viene citato a proposito decime ordinate da Giovanni XXII dalla città di Avignone; per analogo motivo è citato nelle “Rationes decimarum Italine” nell’anno 1328.
Nel 1457 fu concesso in feudo ad un prestigioso uomo d’arme aquilano, il Duca di Montorio Pietro Lalle Camponeschi. Questi con appositi “Capituli et Hordinationi per li massari homeni de Petranico” provvide a regolamentarne e a modificare le istituzioni consuetudinarie della “Università”.
Nel 1712, Papa Benedetto XIV concesse ai Padri Celestini della Badia di S. Spirito di Sulmona prerogative e privilegi su Pietranico perchè‚ già appartenuto all’Abbazia casauriense.
Nel 1806, con l’abolizione della feudalità, decretata da Giuseppe Bonaparte, fu assegnata alla provincia di Teramo.
Nel 1807 le masse guidate dai famigerati capi Dell’orso, Cristallini, Sacchetti, Santoro e Masciarelli, a più riprese, vi commisero ogni sorta di atrocità e di ribalderie, causandovi guasti e rovine; il 14 settembre dello stesso anno fu sede di un convegno di capi-massa, tra i quali intervennero anche Santoro e Cristallini, disceso dal suo rifugio tra le montagne di Pescosansonesco.
Nel 1865, inoltre, Pietranico possedeva una Guardia Nazionale con 91 militi, contava 53 elettori amministrativi e 17 politici.

 

Mancano testimonianze esplicite della sua origine e della sua primitiva aggregazione. Si conosce con certezza che fu una “grangia” (un magazzino-abitazione medievale di montagna), dipendente dalla insigne Abbazia di San Clemente a Casauria.
Una tradizione orale, ancora viva, ne attribuisce la fondazione all’Abate Adamo. Con molta probabilità, deve trattarsi dell’ottavo rettore della storica Abbazia. In suo ricordo, una strada cittadina adiacente la Piazza del Colle, porta il suo nome: Via Abate Adamo.
Un sito così arroccato e poco accessibile apparve un posto ideale ai Monaci benedettini per edificarvi un castello entro il quale potersi rifugiare in tutta sicurezza in occasione dei sanguinosi saccheggi operati dai Saraceni e dai Normanni provenienti dalla vicina costa pugliese.
Questo clima di estrema insicurezza, congiuntamente al desiderio di emancipazione, spinsero masse di coloni abbrutiti da una feudalità sorda ed inutile ad aggregarsi in questo territorio. Dal canto loro, i Monaci offrirono, assieme alla sicurezza, condizioni di vita più umane, nuovi metodi di coltivazione, tecniche di allevamento, sistemi di costruzioni, non tralasciando le pratiche religiose.
L’antico castello sorgeva sulla “Pietra di Castello”, “un immenso masso di 2000 m.c.”. Da qui, dunque, il toponimo Petra Iniqua, che secondo un’attendibile etimologia significa “pietra posta su di un colle”. Questa era la lezione che assegnava al nome un filosofo illustre, Don Domenico Tinozzi che aveva condotto erudite ricerche sui “tre paesi della Penne vera: Pietranico, Cugnoli e Corvara”.

Il paese vecchio conserva a tutt’oggi quasi intatta la sua originaria struttura di borgo sorto per offrire minor lato all’offesa e possibilità maggiori alla difesa. Le case, disposte a raggiera lungo lo scosceso e breve pendio sottostante il poderoso sperone roccioso, sono divise da stradine molto strette e formano, con le mura robuste sul lato esterno, una cintura interrotta solo dalla Porta della Terra.

Di essa resta il solo fornice sorretto da un robusto arco a semicerchio. La breve rampa subito dopo la porta di accesso si dirama in gomitolo di” ruve” e “ruvelle” tortuose e tetre, ricavate a tratti dalla roccia. Terminano tutte nella minuscola piazzetta adiacente la monumentale Pietra, dove si apriva il portale della primitiva Chiesa di Santa Maria.

Parrocchia di San Michele

La chiesa di San Michele Arcangelo si trova nel cuore del cento storico di Pietranico, in via Vittorio Emanuele. L’attuale edificio sorge laddove precedentemente era ubicata una chiesa risalente al XII secolo, demolita nel 1932 in quanto gravemente danneggiata dal terremoto del 1915. L’attuale struttura, in forme neoromaniche, presenta una facciata a salienti suddivisa in due registri, di cui quello inferiore scandito da lesene e da tre portali finemente architravati. La parte superiore è dominata dal rosone centrale, inscritto in una griglia, e dalle due bifore laterali. Due file di archetti pensili corrono ai lati del portale principale e lungo gli spioventi laterali della facciata che, al centro, è coronata da una loggia ad arcature e da una cornice a dentelli. L’interno è a croce latina di tipo basilicale a tre navate, di cui le laterali più basse della centrale, con breve transetto e abside semicircolare.

San Michele Arcangelo

 

L’Oratorio di Santa Maria della Croce

L’Oratorio di Santa Maria della Croce, e l’annesso edificio adibito un tempo a convento, sono immersi in una natura rigogliosa di pini maestosi e abeti secolari che rendono questo luogo una vera oasi di pace, serenità e raccoglimento. Dista solo un paio di chilometri da Pietranico e sorge su un crinale che sovrasta da vicino l’alta valle del Pescara, dal quale si ammira in tutta la sua pienezza all’orizzonte il maestoso massiccio della Maiella
Oltre che tesoro storico-architettonico del paese e centro di fede e di devozione mariana per l’intera provincia, l’Oratorio è stato dichiarato “bene di notevole interesse storico ed artistico nazionale” e vincolato con Decreto del Ministero dell’Istruzione (non esisteva ancora all’epoca il Ministero per i Beni Culturali) del 25 Ottobre 1950. È oggi uno dei Santuari mariani più frequentati del pescarese, e con la Madonna dei Sette Dolori di Pescara e la vicina Madonna delle Grazie di Alanno è stata per secoli una delle mete più significative del circuito devozionale mariano intitolato alle “Sette Madonne Sorelle”.
In una pubblicazione dedicata alle “Madonne d’Abruzzo” il famoso etnologo abruzzese Padre Donatangelo Lupinetti definì peraltro l’Oratorio come uno dei più importanti santuari mariani d’Abruzzo. Il patrimonio storico-artistico che racchiude fa inoltre di Santa Maria un bene di primario interesse artistico regionale. A dire di V. Balzano, illustre studioso e scrittore d’arte abruzzese del ’900, esso rappresenta un gioiello d’arte nonché uno dei pochi esempi di barocco primario d’Abruzzo: un piccolo capolavoro dell’arte del ’600 che, insieme con Santa Maria delle Grazie di Alanno racchiude quanto di più perfetto offre il Barocco italiano in fatto di architettura, pittura, decorazione e intagli. Si tratta di un giudizio davvero lusinghiero, condiviso da altri grandi studiosi ed esperti d’arte del ’900 come Bindi e l’Abate di Vestea, nonché dai esperti contemporanei come Fucinese, Ghisetti Giavarina e Bartolini Salimbeni. È necessario premettere che l’attuale Oratorio fu eretto per volere dell’allora Università pietranichese sulle rovine di una vecchia “cona” preesistente e già dedicata alla Vergine. I lavori per la costruzione iniziarono nel 1618 e furono propiziati da un evento miracoloso: lunedì 25 marzo 1613, giorno della Santissima Annunciazione, nelle vicinanze della vecchia cona la Vergine apparve ad un semplice pastore-contadino del posto di nome Domenico Del Biondo. La data in cui fu avviata la costruzione è confermata dall’incisione sul portale dell’Oratorio (1618), ma i tempi per il completamento dei lavori dell’interno furono lunghi e si protrassero per oltre mezzo secolo.
Al primo intervento documentato, datato 1628, ne seguirono infatti altri eseguiti nel 1655 e nel 1670; tutti però ricadenti entro lo stesso secolo.

 

Chiesa dell’oratorio di Santa Maria della Croce

Prima di ammirarne l’interno, vale la pena sottolineare come il ’600 sia stato un secolo davvero buio per le popolazioni Abruzzo, poiché in aggiunta alle pestilenze verificatesi intorno al 1656, all’epoca le nostre contrade erano letteralmente fiaccate dall’esosità delle tasse imposte dei dominatori spagnoli. Questa situazione, oltre a portare miseria e desolazione sul territorio, favorì le ben note insurrezioni anti spagnole e la nascita in tutto il territorio abruzzese di sanguinose bande di briganti. Fu così che per reazione alla pesante situazione di pericolo e incertezza, ma anche alle tensioni religiose prodotte nello stesso periodo dalla Riforma protestante e dalla Controriforma cattolica, le frastornate popolazioni abruzzesi finirono per affidarsi alla misericordia divina e in particolare alla Madonna. Non è dunque a caso che, anche per arginare il dilagare del protestantesimo, anche negli “Abruzzi” furono erette – come a Pietranico – chiese dedicate alla Vergine e oratori mariani.
Dal punto di vista architettonico l’edificio è stato costruito in parte col materiale smontato dalla vecchia cona preesistente; ha struttura quadrangolare e una facciata costituita da grossi blocchi di pietra regolari a coronamento rettilineo, molto semplice e senza ornamenti di rilievo, né fregi. La meraviglia del visitatore nasce quindi dal passaggio repentino dalla semplice sobrietà dell’esterno al tripudio decorativo interno, che si svela solo una volta varcata la soglia, e rappresenta un unicum per quantità e qualità in tutto l’Abruzzo. L’interno ha una struttura a tre bracci con pianta a “T” rovesciata, ed è costituito da una navata centrale e due cappelline laterali: quella posta a sinistra è dedicata all’Annunziata, mentre quella di destra a Santa Maria della Croce.
In questi spazi il barocco abruzzese ha trovato una sua più che felice espressione; si possono ammirare stucchi e dorature, fregi e decorazioni, finti marmi e tele, pitture al guazzo e tempera, che ornano assieme alle pareti, le volte e le crociere delle quattro campate di cui si compone l’Oratorio. La navata e le cappelle laterali sono ornate da un vero e proprio trionfo di stucchi e decorazioni che contornano ben 55 scene e ritratti, suddivisi in tre cicli pittorici, dovuti alla mano di altrettanti diversi autori, dei quali troviamo miracolosamente conservate le firme. La navata è opera di “Berardino Cardelli di S. Stefano” (forse di Sessanio?), che, insieme alla tela della Crocifissione racchiusa nell’altare maggiore, ha dipinto nel 1670 tutti gli affreschi della volta con scene riferite all’Ultima Cena, alla Passione e alla Trasfigurazione di Gesù.

 

Oratorio

Alla cappella di sinistra, dedicata all’Annunziata, lavorò nel 1656 “Antonello de Castellis da Tocco”, che, oltre a dipingere la bellissima tela che rappresenta l’Annunciazione della Vergine posta sull’altare, decorò anche le volte, le lunette e l’arco della cappella che racchiudono scene dedicate alla Natività, alla Vergine Addolorata, all’Immacolata, all’Assunzione e a San Michele Arcangelo (una dei tre protettori del paese, insieme a Santa Giusta e San Sebastiano). A destra dell’ingresso, nel luogo più augusto e più venerato dell’Oratorio, c’è la cappella dedicata alla Madonna della Croce, dipinta nel 1628 dal pittore aquilano “Tommaso di Berardino Aquilano”. L’affresco dell’altare riproduce un Cristo in croce con ai piedi la Maddalena, e ai lati la Madonna della Croce e Sant’Antonio di Padova; sull’arco, sulle pareti e nella volta della cappella l’autore ha dipinto una sequenza di affreschi che riproducono le storie di Maria. Nella parete di sinistra, la lunetta rappresenta la Visitazione e il riquadro sottostante lo Sposalizio della Vergine; nella parete di destra, dall’alto, abbiamo l’Annunciazione e la Natività di Maria. Di gran pregio e bellezza è infine l’affresco (datato 1628) rappresentante la Visitazione, in cui il giovane volto di Maria contrasta con quello più sfiorito di Santa Elisabetta.

#di Paolo di Berardino

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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