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Controguerra le origini, la storia, le tradizioni

 

Storia

Le spalle al Tronto e, a occidente, risalendo con lo sguardo il Vibrata verso Civitella del Tronto, la maestosità dei Monti della Laga. Controguerra è contesa nella sua natura: nel territorio, appena 23 chilometri quadrati di frazioni e un piccolo borgo da 2500 abitanti; nel paesaggio, adagiato sullo sfondo di colline pittoresche e diseguali; nel panorama, in cui vigneti, uliveti, frutteti, campi di grano, mais e girasoli convivono felicemente con industria e terziario; nel gradevolissimo clima, temperato dalla vicinanza del mare e dei monti. Controguerra è contesa persino nel nome. I controguerresi preferiscono l’arcaico Contraguerra, ma le origini del toponimo sono controverse. Secondo alcuni storici deriverebbe dal latino “contra(ta)” e, da “Guerra”, un nome di persona rintracciabile nel Chronicon Farfense. Per altri studiosi, invece, deriverebbe dal latino “contra”, “dirimpetto a”, e presupporrebbe l’esistenza di una località dal nome “Guerra”, identificabile con Monsampolo, paese dall’altro lato della vallata del Tronto. Secondo un’altra ricostruzione, infine, il nome sarebbe nato già nel 500 d.C., per l’animato desiderio di pace dopo gli eccidi compiuti nella zona da Totila e Belisario al tempo del conflitto gotico-bizantino protrattosi dal 535 al 553.

 

 

Le radici di Controguerra affondano in un passato ben più antico di quanto si possa immaginare. Ne sono testimonianza i numerosi reperti archeologici rinvenuti su tutto il territorio comunale, alcuni raccolti in una sala del Municipio, altri, invece, conservati nei musei Pigorini di Roma e Fiorentino di Preistoria di Firenze. La sua fondazione sarebbe già del periodo tardo – romano, forse sui resti di un fanum gotico, quando l’abitato veniva identificato come Borgo di Santa Maria per l’omonima chiesa. Ma è soprattutto nell’età medioevale che si hanno notizie più certe sul sito in cui sorge Controguerra. L’altura sulla quale è situato l’attuale centro storico, ospitava il nucleo di un castello, più volte indicato come Corata, protetto da una cinta muraria che permetteva l’ingresso solo in prossimità della porta principale, l’attuale Porta Maggiore o porta dell’Angelo. Sul culmine dell’altura troneggia ancora oggi il Torrione del palazzo Ducale, costruito nel 1370 su resti di edifici romani, testimonianza della signoria degli Acquaviva, duchi di Atri, a partire dalla metà del XV secolo.
L’abitato circostante conserva oggi un tessuto ottocentesco, pur presentando alcuni edifici in laterizio del XVII secolo come quelli ai vicoli Augusto, Simone e delle Siciliane. Molto interessanti sono gli stemmi visibili sui portali di alcune abitazioni, come quello dei marchesi Crescenzi-Flaiani su Palazzo Crescenzi. Sui portali dei palazzi più importanti si possono notare anche delle decorazioni, come le due rosette ai lati del Palazzo Salutanzi o la lastra fittile con rosa nel vicolo delle Siciliane. In un altro vicolo dal nome singolare, l’Augusto, è possibile scorgere un’epigrafe risalente al 1770, mentre è oggi conservata all’interno del palazzo Rossi-Barcaroli la Lapide Plebani, un’epigrafe romana rinvenuta nel 1878 in contrada S. Croce. Sempre all’interno delle mura si può ammirare la Chiesa Parrocchiale di San Benedetto Abate, fondata attorno al 1609 con il titolo di San Benedetto e San Pietro. Adiacente alla Chiesa Parrocchiale è il restaurato antico Palazzo del Comune, sede del Municipio fino a circa 50 anni fa. Nella chiesetta di S. Francesco si conserva una statua lignea barocca, dipinta e dorata di S.Antonio da Padova.

 

 

Fuori delle mura che un tempo delimitavano il castello, al culmine di un’altura vicina, si erge la veneratissima Chiesa della Madonna delle Grazie, attestata per la prima volta in una visita pastorale del 1574 con il titolo di S. Maria delle Grazie e come sede del Fonte Battesimale. L’edificio, più volte distrutto e rifondato definitivamente al tempo del pievano Baldassarre Pelagalli, vissuto dal 1534 al 1683, appare oggi nella veste della ricostruzione terminata nel 1810 e dei successivi restauri e interventi di consolidamento. Il campaniletto risale a restauri settecenteschi dell’edificio più antico e conserva ancora le campane del XVIII secolo.
All’interno della Chiesa si conserva un altare tardo barocco ligneo, dorato e dipinto, con al centro una tela raffigurante Dio Padre benedicente con la mano sinistra poggiata sul globo. Al centro dell’altare, un altorilievo in terracotta raffigurante la Madonna con il Bambino, opera di un ignoto allievo di Silvestro dell’Aquila, cui va attribuita l’omologa Vergine del non lontano convento francescano di Monteprandone. Il tempio della Madonna delle Grazie fu sempre oggetto di particolare venerazione, forse a causa dell’alone di leggenda che circonda l’immagine della Madonna. I più anziani l’attribuiscono a S. Luca e la fanno provenire dal mare, mentre non mancano racconti di favolosi tesori nascosti dietro la chiesa, o di una campana d’oro sotterrata nelle sue vicinanze. Sempre secondo la leggenda, infine, nel 1777 l’altorilievo fu eccezionalmente portato in processione dai fedeli per chiedere la fine di una perdurante siccità: il miracolo avvenne e si sarebbe ripetuto anche negli anni successivi, compreso il 1840, anno di un’epidemia di colera.
Ma lasciamo la leggenda e torniamo alle bellezze di Controguerra. Sempre fuori dalle mura vi sono altre due antiche chiesette: quella della Icona, che conserva al suo interno un prezioso affresco del ‘600, e quella di San Rocco, molto semplice con le sue tipiche finestrine basse ai lati dell’ingresso, eretta intorno al 1527 dopo un’epidemia di peste.
Ma la testimonianza più antica che vanta Controguerra è certamente una lapide, forse una transenna, risalente all’epoca medievale e databile attorno al XII secolo. Nel frammento mutilo appare la lettera D, forse l’inizio di un’iscrizione, proveniente con tutta probabilità dalla chiesa altomedievale di S. Benedetto “ad Tribio”, la cui esistenza è documentata fin dal 1017, anno in cui Atenolfo, abate di Montecassino, riceve la chiesa così denominata.
Nelle cronache storiche, però, i riferimenti indiretti all’attuale abitato di Controguerra affondano le loro radici a parecchi anni prima: tra il 789 e l’822, prima testimonianza storica, le tre corti di Sancti Felicis, Sancti Venantii e Raviliano erano possedute dal monastero di S.Maria di Farfa. Tre corti i cui nomi, più volte modificati, torneranno spesso al centro di documenti storici che ne hanno segnato il passaggio di possesso in possesso. Così come accaduto più volte alla contesa Controguerra, sempre in bilico, sul confine tra Abruzzo e Piceno, tra guerre, traffici e cruenti cambi d’appartenenza.

 

 

Sotto la dominazione angioina, l’abitato di Controguerra sorgeva esattamente dove lo troviamo oggi: nel fissare i 57 articoli per il controllo dei passi e dei confini del regno, Carlo I re nel 1282 fa esplicito riferimento a Controguerra, dove vieta il sequestro delle merci e la cattura degli uomini. Sotto la dominazione degli Aragonesi diviene sede di una delle Casse di ultima esitura, uno degli uffici di II grado della Grascia, dogana commerciale e luogo di riscossione degli infiniti balzelli con cui i regnanti vessavano la popolazione per tenere sotto controllo mercati e prezzi. Controguerra la contesa vive anche un periodo di dominazioni incrociate, prima con la lotta intestina tra Angioini e Aragonesi, poi passando più volte sotto il dominio di Ascoli e di Atri, con i Duchi d’Acquaviva. Emblematici i cinque giorni del dicembre 1459, quando Controguerra, nella notte tra il 26 e il 27 viene prima occupata da Giosia d’Acquaviva, fautore del partito di Giovanni d’Angiò per la successione al trono di Napoli, per poi capitolare il 30 successivo di nuovo nelle mani del comune di Ascoli. Passano gli anni e sino al 1760 s’alternano i duchi atriani nel feudo di Controguerra, che rimane esposta, sul confine tra Abruzzi e Marche, a conquiste, occupazioni, scorrerie: nel 1460, con il passaggio del terribile capitano di ventura Iacopo Piccinino, vincitore a San Flaviano contro Alessandro Sforza; nel 1486, quando rimase coinvolta nella congiura dei Baroni; nel 1491 quando vide le truppe del noto Ettore Fieramosca; nel 1556, quando Antonio Carafa, nipote di papa Paolo IV, al comando delle truppe pontificie la occupa e la saccheggia; l’anno successivo, il 1557, quando viene messa a ferro e fuoco dai francesi dopo il sacco di Campli. Sino all’ultima guerra di fine 800, con gli spagnoli assediati nella vicina Fortezza di Civitella del Tronto e la filoborbonica Controguerra a concedere ancora i suoi uomini e la sua fedeltà contro i colpi dell’Unità d’Italia che avanza.

testo di Alessandro Misson

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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