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La figura di san Panfilo di Sulmona, un santo “longobardo”

 

Alla storia della Valle Peligna altomedievale si lega la figura di San Panfilo vescovo, a proposito del quale un recente contributo locale restituisce interessanti intuizioni, aggiungendo un importante tassello alla ricostruzione di una diffusione probabilmente ben più ampia anche in Abruzzo di tradizioni analoghe a quelle documentate a Benevento e ricordate dalla Vita Sancti Barbati (NICOLAI 2016). San Panfilo nacque nel 650 a Pacile (AQ), insediamento altomedievale di limitate dimensioni collocato sull’eminenza collinare all’interno dell’antico recinto fortificato italico di Colle Mitra, e sviluppatosi dall’abbandono del pagus d’età romana poco a valle (MATTIOCCO 1981, pp. 58-59; ID. 1989; STAFFA 1995c), e la sua vita, sino alla morte nel 701 a Valva, è superstite sia in un esemplare «ex lectionibus ofcii proprii», letto nel giorno della festa dal Capitolo della Cattedrale Sulmonese, ripreso dagli Acta Sanctorum (28 aprile), che in un Lezionario del monastero di Boddeken, desunti da un perduto «vetusto quoque Ecclesiae Sulmonensis codice», giuntoci in copia manoscritta redatta dal vescovo di Sulmona Fumarelli (1532- 1547), in tardo consolidamento di una ben più antica tradizione (NICOLAI 2016, pp. 11-12)

 

Cattedrale di San Panfilo a Sulmona

Gli elementi più interessanti di questa vicenda compaiono in alcune leggende ad essa connesse, da una Cronaca della città di Sulmona redatta nel XV secolo da Giambattista Acuto, poi riprese da Antonio De Nino nel suo studio sugli usi e costumi abruzzesi (NICOLAI 2016, pp. 28-30): «San Panflo, protettore di Sulmona, era nato a Pacino, che è una contrada tra Sulmona, Pettorano e Canzano. San Panflo aveva abbracciata la religione di Cristo; ma suo padre era gentile. Perciò in famiglia non si andava d’accordo. Il padre odiava il fglio; e pensò al modo di perderlo. Gli comandò che fosse salito sopra un carro, e da Pacino, che stava sopra un monte ripido, dovesse scendere a valle, verso il fiume Gizzio. Il figlio ubbidì. Il padre pensava: adesso precipiterà per quella balza lui, il carro e i buoi: e ben fatto! Ma Panfilo lo guidavano gli angeli. Scese giù col carro, a tempo a tempo, senza farsi male. Sugli scogli ci stanno ancora adesso le impronte dei piedi de’ bovi e le scanalature delle ruote» (DE NINO 1897, IV, p. 227). Quello che si era conservato nella memoria popolare come atto di crudeltà del padre nei confronti del figlio appare in via d’ipotesi riconoscibile come la suggestiva persistenza di un antico rito dei giovani arimanni che, a cavallo ed armati di lancia, si gettavano da un’altura sino ad un albero sacro, simile a quello nella citata Vita di S. Barbato a Benevento (NICCOLAI 2016, pp. 28-29).

 

FAI – Fondo Ambientale Italiano – Chiesa di San Panfilo a Tornimparte

La comunanza di tradizioni risulta confermata dalla persistenza di elementi rituali connessi al culto dell’albero sacro anche nei pressi dell’Aquila, a S. Panfilo nella frazione Villagrande di Tornimparte (NICOLAI 2016, pp. 82-83), ove, in occasione della festa del 28 aprile, viene appeso alla cancellata della chiesa un faggio, aprendo ufficialmente la contrattazione per gli afdi delle greggi e la distribuzione dei pascoli, a cui segue festa sino al 1 maggio, ed un rito detto “ju calenne”, con cui i giovani maschi celebrano presso l’albero sacro la loro identità, con un vero e proprio rito di iniziazione. A sera del 30 aprile i giovani si riuniscono e concordano le modalità di svolgi- mento del rito, articolato nell’intera nottata sino all’alba; scelgono un albero alto anche sopra i 10 m, in genere un pioppo, lo tagliano e lo trasportano a S. Panfilo, ove è innalzato a lato del campanile, per restare eretto sino al 30 maggio, quando è abbattuto per essere tagliato a pezzi e venduto (NICOLAI 2016, p. 83). Che gli statuti dell’Aquila del XV secolo facessero divieto di “alzar calenne”, ossia di erigere alberi del genere, documenta che il rito dell’albero sacro, attestato anche a S. Barbato a Pollutri, aveva conservato per secoli una più ampia diffusione anche nell’Abruzzo Aquilano (PANSA 1902, vedi GASPARRI 2005, pp. 23, 40-41).

 

Può infine ricordarsi che nella tradizione di san Panfilo di Sulmona appare conservata anche la singolare leggenda della cerva che discende dai monti per ristorare con il suo latte il santo ed i messi pontifici che lo stavano portando a Roma, episodio per cui sono stati proposti collegamenti con la mitologia germanica (NICOLAI 2016), in particolare con l’opera epica norrena nota come Heimskringlam di Snorri Sturluson, la capra Heiðrún da cui si munge l’idromele, e il cervo Eikþyrnir dalla cui corna stillavano i fumi del Wahalla, animali simbolici che si nutrivano delle foglie dell’albero sacro noto come Læraðr, forse lo stesso menzionato anche come Yggdrasill, conservatosi quale elemento centrale del culto fra i Sassoni come Irminsul sino all’abbattimento da parte di Carlo Magno nel 772; ancora una volta un albero sacro, come l’albero ancora venerato a Benevento all’epoca di san Panfilo e del duca Romualdo I (NICOLAI 2016, pp. 41-42 sulla Heimskringla vedi Snorri Sturluson, BAGGE 1991, SIGURDSSON 2008).

 

di Andrea R. Staffa 

Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo (andrearosario.staffa@beniculturali.it)

 

 

 

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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