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Il museo archeologico di Atri

Uno dei più prestigiosi edifici neoclassici della città, Palazzo De Galitiis – De Albentiis – Tascini, risalente alla fine del settecento, ospita il Museo Archeologico Civico-Capitolare di Atri, di recente istituzione. I materiali esposti, derivanti dal territorio dell’ager atrianus, costituiscono le sezioni preistorica e protostorica e la Collezione Rosati.

Tutti i reperti furono recuperati dall’artefice della raccolta omonima, singolare personaggio che diresse gli scavi tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento. Vincenzo Rosati nacque a Ponzano di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, il 28 gennaio del 1859. Laureatosi in ingegneria presso il Politecnico di Napoli nel 1896, fu direttore delle scuole industriali di Penne, Roma, Tripoli e della Scuola di Arti e Mestieri dell’Orfanotrofio della città di Atri dove ricoprì, di fatto, anche la carica di Ispettore degli scavi ed antichità, svolgendo contemporaneamente azione di tutela. Molto sensibile alla letteratura ed all’arte in genere, incline al disegno ed alla pittura, dedicò molta parte della sua attività all’archeologia, essendo stato nominato commissario per la conservazione delle antichità con decreto del 18 febbraio 1897, dietro segnalazione di Edoardo Brizio, allora direttore del Museo Archeologico di Bologna e degli scavi governativi che arrivavano fino al territorio abruzzese della provincia di Teramo, col quale il nostro collaborava fin dal 1895. Al Rosati si devono le principali scoperte archeologiche della zona di Atri e dei territori limitrofi, e alla conservazione dei reperti oggi esposti nel museo, per i quali eseguì anche rilievi grafici, calchi e fotografie, i ritrovamenti dei cunicoli di Porta Cappuccina, delle cisterne e piscine limarie romane rispettivamente sotto il palazzo dei Duchi Acquaviva d’Aragona e la Cattedrale di Santa Maria Assunta, oltre al tempio romano e le necropoli protostoriche della Pretara e del Colle della Giustizia.

Sotto la sua direzione furono rinvenute 38 sepolture, delle quali si conservano 22 corredi funebri esposti nelle teche del museo, probabilmente appartenuti a due-tre nuclei familiari risalenti ai primi tre quarti del secolo VI a.C. Le sepolture, quasi tutte femminili ed infantili, hanno restituito fuseruole, fibule e placche di cinturoni in bronzo e ferro, collane, bulle, pendagli, vaghi di collane in pasta vitrea e cipree, vasi ad impasto ceramico dalle svariate tipologie; quelle maschili hanno invece conservato i tipici armamenti da guerriero con teste di mazza, punte di lancia, coltelli e pugnali. Sempre al Rosati, coadiuvato dal tecnico ministeriale Luciano Proni, si deve il recupero singolare di due sepolture, una femminile ed una maschile, di epoca protostorica, esposte alla fine del percorso museale: scavate agli inizi del ‘900 esse sono completamente integre sia nei reperti antropologici che nelle suppellettili del corredo. L’uomo, morto presumibilmente all’età di 30-35 anni, fu inumato con la panoplia da guerriero, la donna di circa 20-22 anni ha per corredo bracciali, pendagli e cipree. Se la scoperta ed il recupero di tali materiali si devono alla passione di Vincenzo Rosati è soprattutto la collezione che prende il suo nome che evidenzia l’importanza della sua attività ventennale e lo eleva, nel campo dell’archeologia, al rango di studioso antesignano, scrupoloso ed attento. La raccolta, ricca e piuttosto eterogenea sia per materiali che per epoche, contempla numerosi oggetti esposti in un’unica grande vetrina quadripartita: si tratta di balsamari, kantharos, laghynos, ariballos di provenienza ignota e di diversi monili quali anelli di collana, bracciali ed armille, pendagli dalle svariate fogge legate al mondo femminile ed ancora spade, punte di lancia e di giavellotto, fibule e bacile in bronzo, due arule, antefisse a palmetta e a potnia theron, lastra di rivestimento e cornice di frontone fittili, oltre ad oggetti votivi dalla forme antropomorfe. Assai singolare è la storia della raccolta: il Rosati conservò per lungo tempo i reperti presso la scuola che egli dirigeva in Atri esponendoli, per un breve periodo, in teche di fortuna. Agli inizi del novecento, mentre conduceva scavi anche fuori dal territorio atriano, arrivando fino a Civitella del Tronto, al suo posto fu ufficialmente nominato Regio Ispettore degli scavi e monumenti di Atri un altro illustre cittadino, lo storico Luigi Sorricchio, che era fortemente sostenuto dal teramano Vincenzo Savini presso il Ministero della Pubblica Istruzione, ente dal quale all’epoca dipendevano gli scavi e le antichità. Vincenzo Rosati, al quale il titolo non era stato ufficialmente mai riconfermato benché continuasse a svolgere la sua attività, fu repentinamente messo da parte ed a nulla valse il sostegno del Brizio, che lottò alacremente affinché gli fosse ridato l’incarico condotto con passione e competenza. A ciò si aggiunse anche il trasferimento in Calabria, presso una scuola di Catanzaro (1905) per cui lo stesso, doppiamente amareggiato, tolse tutti i reperti che custodiva, in parte impossessandosene impropriamente, in parte riponendoli in casse lignee che ricoverò nelle soffitte e nei sotterranei dell’edificio. A nulla valsero le ripetute richieste del Ministero che, solo in parte, riuscì a recuperare il materiale rimasto trasportandolo presso il Museo Archeologico di Ancona, dove probabilmente giace ancora. Dopo molteplici vicissitudini nel 1942, pochi mesi prima di morire(1.11.1943), Vincenzo Rosati decise di donare i reperti archeologici rimasti in suo possesso, assieme a tutta la sua collezione che comprendeva anche opere medioevali e moderne, monete, disegni, libri, fotografie e mobili, alla Biblioteca del Convitto Nazionale di Teramo Melchiorre Delfico, divenuta poi Biblioteca Provinciale, che la custodì per circa sessant’anni nei suoi depositi: in occasione della recente apertura del Museo Archeologico di Atri i materiali sono tornati al luogo d’origine restaurati e musealizzati secondo le più moderne tecnologie, finalmente fruibili al pubblico.

@Maria Rosanna Proterra direttore museo archeologico di atri www.comune.atri.te.it

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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