Il borgo di Ancarano

 

Posto in cresta alla dorsale collinare che si affaccia sulla vallata del Tronto, l’abitato antico ha la tipica struttura del borgo incastellato. I numerosi ritrovamenti archeologici nell’area stessa della cittadina odierna indicano come essa insista su un precedente insediamentob romano.

La breve altura era in antico racchiusa da una cerchia di mura alla quale, in varia epoca, si sovrapposero gli edifici che tuttora ne indicano con chiarezza l’andamento, soprattutto lungo il perimetro sudoccidentale. La cerchia doveva essere munita di torrioni quadrati dei quali alcuni ancora evidenti in una pianta catastale tardo settecentesca e in alcune case-torri. Della muraglia di difesa piú antica sopravvivono due porte: la Porta da Mare ad est e la Porta da Monte a ovest. La prima presenta all’esterno un ingresso ad arco ogivale con ghiera e montanti in pietra nella muratura in laterizio. All’interno del passaggio le mura nella zona inferiore sono invece eseguite in conci squadrati e disposti in allineamenti regolari. Il coronamento della porta è eccatelli, originariamente sormontati da merli e forniti di caditoie per la difesa piombante. Sul lato interno della porta, dove però il restauro moderno è preponderante, il passaggio ha un arco a tutto sesto, forse un tempo con ghiera in pietra, come in pietra sono ancora i montanti. Nella Porta da Monte, stretta fra gli edifici moderni, sopravvivono i beccatelli e sono presenti i fori per le catene del ponte levatoio. Il passaggio è ad arco a tutto sesto rinquadrato da una ben piú recente cornice (1826), sempre in laterizio. Le due porte sono databili tra la fine del xiv ed il primo XV secolo.

I confronti piú immediati si possono istituire con la torre di Mosciano Sant’Angelo (1397) e il torrione aragonese delle fortificazioni di Lanciano. Sappiamo che la cinta difensiva di A. fu rasa al suolo e la cittadina seriamente danneggiata nel 1557. Evidentemente le porte, ma anche una parte delle mura presso quella da Mare, furono risparmiate se lacerti d’esse si abbattevano nel 1788 nel rifacimento della via d’accesso all’abitato. Lungo il perimetro del borgo antico a nord e ad ovest sopravvivono anche tratti del basamento a scarpa dell’antica muraglia. L’abitato all’interno della cinta conserva l’impianto urbanistico della ricostruzione cinque e seicentesca con vie strette e spesso ad andamento curvilineo e numerosi edifici dell’epoca. Si incontrano portaletti in pietra con stemmi o decori nella chiave d’arco. Su uno di essi è lo stemma bernardiniano; le finestre hanno belle cornici di pietra. Al di sopra dei portaletti sono a volte inserite piacevoli maioliche con raffigurazioni di santi, databili ai secoli XVIII e XIX. Gli edifici tardo seicenteschi e quelli settecenteschi hanno frequentemente le finestre del piano nobile rinquadrate da eleganti cornici con modanature, archetti e volute, come in via Spalazzi e in via Coppi. Case piú modeste, ma altrettanto antiche, presentano architravi lignei, come in via Flaiani.
Tra gli edifici piú cospicui del XVI secolo vanno segnalati il palazzo ex De Angelis con alle finestre belle cornici in pietra movimentate da specchiature e rosette, e il Palazzo della Comunità e del Podestà variamente rimaneggiato nei due secoli successivi. In via Farnese sono rimessi in opera, ad incorniciare una finestra della casa al n. 15, una serie di blocchi in pietra bianca decorati con un fregio vegetale a girali di acanto di fine fattura. Si tratta probab mente di un fregio di parasta (che andrebbe perciò letto verticalmente): in duc blocchi ci sembra infatti di ravvisare i cespi di acanto dai quali si origina il motivo. E probabile una datazione al 1 secolo d.C. A questi pezzi si può connettere anche un altro fregio, del pari di buona qualità, conservato oggi nella sala consiliare del Comune. Il blocco, da leggersi orizzontalmente, alterna, fra le volute vegetali, bucrani ad una protome di sileno e conserva tracce di pittura in color giallo oro. Proviene da un edificio nelle immediate adiacenze dell’antica parrocchiale dove era stato rimesso in opera. Nell’area della chiesa, durante i lavori di demolizione del 1967, si rinvennero anche mura e colonne di una struttura romana. È probabile che entrambi i fregi siano da porre in relazione con essa.
Dell’antica parrocchiale, già esistente nel XII secolo e intitolata a S. Maria, resta oggi in piedi la sola torre campanaria. E eseguita in laterizi con ammorsature di blocchi ben squadrati agli spigoli. La torre fu restaurata e per gran parte ricostruita dopo il terremoto del 1703. I lavori terminarono nel 1713 quando vi fu posto l’orologio. Dell’edifi cio antico restano, rimessi in opera come conci di ammorsatura, tre blocchi di pietra bianca scolpiti con un motivo simmetrico di volute di acanto ai lati di un calice centrale desinenti in protomi di mostri marini dalle pinne palmate.

I tre blocchi sono posti alla stessa altezza a racchiudere i due lati di uno spigolo: su un fianco è un blocco intero con il motivo al completo; sull’altro sono invece due blocchi terminali del motivo con il calice scolpito soltanto per metà. L’esecuzione è di buon livello, le forme corpose e fluide, gli steli delle volute d’a- canto rotondi e lisci. Una serie di forellini ottenuti con il trapano segna le pupille degli occhi e crea qui e là gli stacchi d’ombra sulle punte sfrangiate delle foglie che racchiudono i corpi anguiformi dei draghi marini. Se il fregio faceva parte della decorazione dell’antica chiesa di S. Maria, esso è con buona probabilità una preziosa testimonianza dell’arredo del monumento in epoca tardo quattrocentesca. Sulla torre sono rimessi in opera anche altri pezzi dell’arredo di quest’epoca della diruta parrocchiale: un blocco di trabeazione con testa d’angelo alata; una cornice di edicola a volute con rosette e foglie d’acanto sul coronamento; una testina giovanile poco leggibile. In una tamponatura è un frammento di epigrafe (n.10). Altri piú importanti arredi sono oggi nella moderna chiesa di S. Maria della Pace. Vi si trovano: la statua tardo quattrocentesca della Madonna con il Bambino, opera di Silvestro dall’Aquila, un notevole Crocifisso ligneo della fine del XVI secolo; varie tele, fra cui una Madonna del Rosario del 1588, una Madonna con il Bambino e Santi, della seconda metà del XVII secolo, e tre tele tardo settecentesche: i Santi Carlo Borromeo e Filippo Neri che intercedono per le anime del 619 Purgatorio, una Madonna del Rosario e un San Giovanni Nepomuceno. In sacrestia è un tondo con S. Giovanni Battista che dipende dalla pro duzione napoletana di primo Seicento, in particolare dal Maestro di Fontanarosa. Inoltre: parti di un altare barocco (due angeli e un trono per l’esposizione del Santissimo), l’urna lignea con le reliquie di S. Simplicio (1657); tre candelieri di legno dorato e dipinto, il braccio reliquiario di S. Simplicio commissionato nel 1748 e una serie di dodici quadretti con i Misteri della Via Crucis.

Fuori del circuito antico delle mura è la chiesa della Madonna della 426 Misericordia, edificio in laterizi a pianta ottagona, di dimensioni non grandi (raggio di circa 11 m), con annesso il vano trapezoidale della sacrestia. L’ottagono è sormontato da una cupola a spicchi su alto tamburo. Gli otto lati sono decorati da cornici in aggetto e coronati da un cornicione sorretto da mensole, caratteristiche che si ripetono sul tamburo della cupola, conclusa da un’alta lanterna.
Sul lato di ingresso è un alto portale di travertino coronato da timpano. Lo stesso portale. ma cieco, si ripete sul lato adiacente di sinistra. Su quello a destra è la tipica finestra bassa rettangolare con grata in ferro, mentre due finestroni alti danno luce alla chiesa. Il campaniletto a vela è datato 1656 ed è forse da connettere con l’erezione della sacrestia. Questo monumento, che nelle sue linee architettoniche ripete chiari schemi tardo rinascimentali, fu eretto nel 1628, su progetto dell’architetto pesarese Giovanni Branca (1571-1645), come si deduce dalla nota finale di pagamento delle opere murarie in data 18 marzo 1630 conservata nell’Archivio Storico Comunale di A. All’interno, inserita nell’altar maggiore, è l’immagine della Madonna della Misericordia alla cui devozione si deve l’erezione della chiesa. L’affresco, datato 1569, è assai malridotto. Si tratta in ogni caso di opera modesta.

Di qualche pregio, invece, gli stucchi che adornano gli altari barocchi eretti nel 1710 e le porte. I due altari laterali conten gono tele di primo Settecento: un Transito di S. Giuseppe, copia da Luca Giordano, e una Madonna del Suffragio di Tommaso Nardini. Dell’arredo della chiesa faceva parte anche una tela con la Madonna del Rosario (XVII/ XVIII secolo). In sacrestia, posto entro una nicchia, è un lavabo. Il corpo del bacino è ornato da grandi rosette; un fregio in stucco orna la nicchia. Fuori dell’abitato è la chiesa della Madonna della Carità, sorta sullo scorcio del XVIII secolo sul luogo di una precedente chiesetta dedicata a S. Simplicio. È a navata unica con campanile. Il portale in pietra imita le linee seicentesche del portale della chiesa della Misericordia. All’interno sono una statua lignca settecentesca di S. Simplicio e una tela devozionale con lo stesso santo datata 1845. Ne esiste in proprietà privata anche il disegno preparatorio datato 1841. Nell’odierno Palazzo Comunale è una tela del 1680 sulla quale è rappresentata una carta dello stato di Ascoli con i suoi confini. Nativo di A. e Giuseppe Flaiani (1741-1808), fondatore di un celebre gabinetto anatomico nell’ospedale di Santo Spirito in Roma (1769) e famoso per aver individuato per primo il distiroidismo indicato ancor oggi come «morbo di Flaiani-Basedow».

 

Tratto dal DIZIONARIO TOPOGRAFICO E STORICO

di LUISA FRANCHI DELL’ORTO e CLAUDIA VULTAGGIO

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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