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La festa di San Zopito

 

Il bue di San Zopito
«Nella festa di San Zopito, un bue con gualdrappa color di grana, infettucciato su per le corna, con un ragazzino sopra vestito da angelo, gonnellino rosso di velo, ghirlandella di fiori in testa, è portato in Chiesa, e proprio dinanzi alla Cappella del Martire, dov’è fat- to piombare in ginocchio, e poco poi fatto rialzare, è trattenuto in Chiesa. Quando a messa solenne si leva la sacra Ostia, in ginocchio di nuovo, e tutt’i contadi- ni, senza fare sparagno del loro petto, ad ambe mani se lo tambussano sì, che è un rumoroso strepito. Quando muove la processione, il bue la incomincia, ed è fatto camminare per il paese, ed ogni volta che il Sacerdote benedice al popolo con le reliquie del Santo, è fatto inginocchiare; e così pure passando per qualche Chiesa» 1 . Era il 1850 circa, quando Pasquale Castagna osservava la festa di Loreto Aprutino. Da allora sono trascorsi più di 150 anni, e il rito continua ad essere praticato pur nell’evoluzione delle forme e di parte dei contenuti. Fin dal 1711, anno dell’istituzione della festa e dell’assunzione del nuovo protettore San Zopito Martire, la comunità di Loreto Aprutino addestra un bue bianco e lo porta in processione per compiere e ripetere l’inginocchiamento miracoloso che accolse l’arrivo del nuovo santo in paese. Nel corso dei secoli la festa è cambiata, perché diverso è il contesto socia- le e culturale che la produce; tuttavia essa sopravvive, e non soltanto perché soddisfa bisogni individuali e collettivi con soluzioni simboliche collaudate in millenni di pratiche rituali, ma perché la sua esistenza è funzionale al presente, risponde ad esigenze attuali, contribuisce alla sua vitalità. Quando si arriva in piazza, la domenica di Pentecoste, i contadini che in passato hanno partecipato al rito, aspettano il passaggio del bue, con i suoni e i colori che lo circondano. E quando il bue si inginocchia davanti alle chiese e al passaggio del santo l’emozione è forte, e chiunque sia presente o partecipi al rito può percepirla. Non c’è nessun mistero dietro questa festa, nessuna origine “mitica” da scovare; ciò che la rende unica è la passione con cui ogni anno si rinnova, nella memoria degli avi e nella piena appartenenza al presente.

 

 

Cenni su Loreto Aprutino
Chiamato “Aprutino” dal 1863 per distinguerlo dall’omonimo paese marchi- giano successivamente all’unità d’Italia, ha origini antichissime. Il toponimo sembra derivare da “lauretum” e riferirsi alla presenza di un bosco di lauri lungo il colle dell’attuale Salita Montelauro, naturale via d’accesso all’abitato dal versante meridionale, in direzione dell’Abbazia di San Pietro. Il territorio è stato luogo d’insediamenti in dal Paleolitico, così come tutta l’area vesti- na, dove si sono rinvenute abbondanti tracce di industria litica nel corso delle numerose campagne di scavo effettuate in dal secolo scorso. Ma il più consistente insediamento dell’antichità è risultato essere il complesso italico restituito dagli scavi delle necropoli nella zona del colle Fiorano, sorto in stretta dipendenza culturale dalla vicina Pinna, la cui massima fioritura culturale si situa, per l’epoca italica tra il V e il III secolo a. C. La nascita del castrum Laureti sembra risalga all’epoca della conquista longobarda (ine VI secolo), ma i dati documentari non sono sufficienti per affermarlo con certezza. In base a quanto contenuto nel Chronicon Casauriense, il paesaggio agrario e la realtà insediativa dei secoli X e XI, con la sua organizzazione in casali (Galiano, Paterno, Palme e Rosiccle), erano costituiti in prevalenza da piccole e medie proprietà, coltivate a vigneti e ad ulivi, ma è soprattutto in età normanna che si verifica il consolidamento di un primo nucleo urbano, e alla stessa epoca va fatta risalire l’ascesa economica e politica della chiesa di S. Pietro. Dal 1330 al 1571 la Contea di Loreto fu retta dai D’Aquino e dai D’Avalos, e in seguito dai D’Aflitto fino al 1703 e dai Caracciolo di Melissano ino al 1806, anno in cui ebbe termine per l’introduzione del Codice Napoleonico. Nella seconda metà dell’800 Loreto si congiura come una cittadina all’avanguardia dal punto di vista economico e culturale, con la formazione di una nuova classe dirigenziale, composta in gran parte da proprietari. La trasformazione in senso industriale del settore oleario allinea Loreto con i centri agricoli più sviluppati; la fioritura culturale determina la creazione di un teatro, l’emergere di importanti personalità politiche e intellettuali, il proliferare di riviste, pubblicazioni, la formazione di importanti collezioni librarie, d’arte e d’archeologia. La conformazione urbanistica di Loreto Aprutino è caratterizzata dal tipico schema medievale “ad avvolgimento”, attorno ai due insediamenti architettonici principali, la chiesa di San Pietro Apostolo e il Castello, congiunti da un asse longitudinale (via del Baio) lungo il quale si realizza verso la metà dell’Ottocento ma su edifici preesistenti, un’edilizia signorile ad opera dei nobili e dei proprietari terrieri: i Casamarte, i Valentini, i Baldini-Palladini. Il tessuto abitativo sottostante si sviluppa, con un notevole dislivello, lungo la parte meno scoscesa del colle su cui sorge il nucleo originario, in un dedalo spesso intricato di viuzze e scalette. Recentemente il paese si è ampliato nella parte bassa con un’edilizia novecentesca, dando luogo alle più moderne via dei Normanni e Piazza Garibaldi, luoghi di preminente importanza per lo svolgersi della processione di San Zopito.

 

 

Leggenda di fondazione del rituale
«La tradizione orale narra che il lunedì di Pentecoste 1711 il corteo con le reliquie si fosse imbattuto in un bifolco con un bue, su un terreno dei Parlione in Contrada Le Pretore-Casci, il quale si inginocchiò, al contrario del padrone. Quella famiglia, per grazia ricevuta, lo regalò alla festa (aveva avuto un congiunto guarito) e così, da allora, fu portato in processione».
 
«Dicesi che durante il tragitto delle reliquie del santo da Penne a Loreto Aprutino il Lunedì di Pentecoste 1711, un contadino arava un campo sulla via, con due bovi bianchi aggiogati all’aratro. Al passare della processione trascurò deliberatamente di salutarla, non togliendosi neppure il cappello, poiché era un miscredente; ma i suoi bovi riconoscendo immediatamente le reliquie di un santo martire, si inginocchiarono, rimanendo in tale posizione intanto ché non fosse passata la processione. Il contadino alla vista di un tale miracolo, compiuto sotto i propri occhi, fu convertito e d’allora innanzi fu buon cristiano».

La pronosticazione
«Come il Santo rientra nella chiesa, il bue s’inginocchia sul limita- re; poi si rialza lentamente, e segue il Santo tra il plauso del popolo. Giunto nel mezzo della chiesa, manda fuori gli escrementi del cibo; e i devoti da quella materia fumante traggono gli auspici per l’agricoltura». «Durante la cerimonia generalmente nel corso della processione ma talvolta anche nella stessa chiesa, il bove evacua, fenomeno cui quelle popolazioni annettono una grandissima importanza in rapporto al prossimo raccolto. Secondo la credenza locale infatti l’abbondanza del raccolto dipenderebbe dalla quantità della materia evacuata».

La mezzadria
Una delle caratteristiche che fecero di Loreto Aprutino un centro distinto dalle generali condizioni di arretratezza e di gestione feudale del potere di gran parte del meridione italiano, fu l’assenza del radicamento delle classi nobiliari, mai originarie del posto e sempre legate ad un potere politico provvisorio e di passaggio. All’indomani dell’unità d’Italia la trasformazione in senso borghese del potere locale avvenne senza reazioni da parte del ceto nobiliare e della Chiesa; ciò è da attribuirsi all’assenza di una vera e propria classe nobiliare radicata, in grado di esprimere ideologie conservatrici e reazionarie. In questo quadro storico furono i proprietari terrieri a svolgere una funzione dirigenziale e a promuovere in dalla ine dell’800 una gestione delle terre in conformità con le trasformazioni industriali del paese, soprattutto nel campo della produzione olearia, che otterrà riconoscimenti nelle più importanti esposizioni nazionali e internazionali tra la ine del 1800 e l’inizio del 1900. Loreto Aprutino si allineò con i centri agricoli più industrializzati e questo processo consentirà la formazione di una classe contadina, l’unica autenticamente e profondamente radicata nel territorio, di una maturità politica sconosciuta in gran parte del centro-sud e capace di sviluppare una dura lotta di classe con gli scioperi alla rovescia del 1950. Nella festa di San Zopito, tradizionalmente, la classe contadina ha avuto infatti un peso economico rilevante; un ruolo importante nella processione avevano la corporazione dei trappetari (contadini e artigiani addetti alla lavorazione dell’olio) e la corporazione dei bifolchi (contadini, braccianti, aratori), che si assunse anche le spese dell’affresco del Giudizio Particolare della chiesa di Santa Maria in Piano. Nel territorio di Loreto Aprutino la tipologia di contratto agricolo più diffusa era il cosiddetto contratto colonico o mezzadrile, che può essere considerato una forma di rapporto di produzione di passaggio tra un’economia feudale ed una capitalistica; accanto ad esso andava formandosi il lavoro a giornata, di tipo bracciantile, che riguardava soprattutto gli agricoltori sprovvisti di ogni mezzo di produzione o di sussistenza.

 

 

Nel territorio di Penne, come emerge dall’inchiesta agraria Jarach (1909), il contratto di mezzadria ebbe un incremento del 242,1% nell’arco di un ventennio (1881-1901) riscuotendo grande favore sia presso i proprietari terrieri che presso la popolazione contadina. Sebbene le condizioni generali delle classi agricole nella regione vennero considerate negativamente dalle inchieste parlamentari, gli esponenti degli ambienti agrari locali giudicarono estremiste tali posizioni, valutando al contrario la condizione mezzadrile con un giudizio sostanzialmente positivo. Al di là di considerazioni storico-economiche, le numerose monografie sull’agricoltura nella provincia di Teramo alla ine dell’‘800, contribuiscono ad inquadrare il modo in cui il rapporto di mezzadria era percepito sul territorio, anche nei suoi risvolti di carattere psicologico.

 

 

I vetturali
«Com’è dì, il giorno di San Zopito, tutt’i cavalli del paese sono por- tati ad una fontana, e bellissimi a vederli tutti con gualdrappe quale cremisi, quale color cilestro; verdazzurro è quel panno, tinto in grana quell’altro; qui verde bruno, là giallo dorato, crocco. Pei crini, nastri varii per colore e per forma, e coi crini svolazzanti; alla coda altre fettucce, ed insieme fanno un brio, uno scalpitare, un annitrire che è un piacere. Convenuti che sono, muove questa gualdana. Innanzi un cavallo, il cavalier di cui sostiene un palio di seta rossa tutto messo ad oro. Dopo, un altro cavallo, ed il cavaliere porta un quadro in cui è dipinto il glorioso martire. Quindi un animale appresso all’altro, e ciascuno che vi è a cavallo ha un cereo in mano pel quale ai deputati della festa pagano or due or più carlini. Finisce la cavalcata un asino, intorno alla cui gualdrappa è una rete tutta di botte, e quel che vi va sopra pur esso intorniato di botte. Gira per tutto Loreto questa cavalcata, e poi alla Chiesa dove sono le reliquie di San Zopito. Un Sacerdote benedice gli animali, i cerei sono restituiti, si dà fuoco a quella macchina pirotecnica che indossa l’asino, e via a casa»

 

Gianfranco Spitilli
University of Teramo

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 974 articoli
Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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