Per Via Napoleonica si intende quel pezzo di strada che segue da Sulmona la valle del Gizio per giungere fino al Piano delle Cinquemiglia. Da Sulmona si raggiungevano i dintorni di Pettorano lungo entrambe le rive del fiume Gizio. Il suo corso successivo è probabilmente conservato dal tracciato della S.S. n° 17, al lato orientale dell’altipiano, fino a Madonna della Portella; proseguiva per Roccaraso, e lungo la “via della carrozza”, sul fianco orientale del Monte Arazecca, verso Castel di Sangro e l’antica Aufidena. Questa strada era usata già nell’antichità. Si trattava della principale via di comunicazione tra le popolazioni italiche dei Peligni e dei Sanniti, frequentata – stando ai ritrovamenti archeologici – già dal V-IV secolo a.C. Questo tracciato è stato identificato (senza molte certezze scientifiche) con un tratto della via Minucia, strada romana, ricordata da Orazio, che giungeva fino a Brindisi. Tuttavia, appare accertato che anche in epoca romana la strada preferita per i collegamenti tra il Sannio e la Valle Peligna sia stata quella che passava per il Piano delle Cinquemiglia – Roccapia – Pettorano.
In epoca medievale questa strada ha assunto una particolare importanza per i traffici commerciali. Proprio per agevolare questi scambi, nel 1302 (anche se la data non è certa) Carlo II d’Angiò fece ricostruire questa strada, dando l’incarico ad un certo Bartolomeo di Pacile. Fu su questa strada che, per esempio, Giovanni Boccaccio passò per andare a Napoli sia nel 1328 (per fare pratica di mercatura) sia nel 1363 (quando abbandonò Napoli sdegnato per la cattiva ospitalità di Nicola Acciaiuoli). Un mercante e politico fiorentino del XIV secolo, Balduccio Pegolotti, ci informa che «vassi da Firenze a Napoli da 11 in 12 dì» e «da 5 in 6 dì all’Aquila e a Sermone». Nel XIV e XV secolo la “via degli Abruzzi” (come è anche stata denominata) divenne sempre più di importanza strategica per il controllo del territorio e pericò sempre più frequentata da eserciti, mercanti, ambasciatori etc.
Verso la fine del Settecento il governo – per rilanciare lo sviluppo economico – cominciò a progettare una “Strada Regia d’Abruzzo”, anche se non c’era un’idea precisa del percorso da tracciare. In realtà questa strada non aprì tracciati totalmente nuovi, ma fu soprattutto un ammodernamento delle preesistenti vie cavalcabili. Da Venafro a Castel di Sangro i lavori furono eseguiti con una certa agilità; per la parte successiva, invece, si posero problemi sia tecnici sia politici. Per questo tratto di strada, infatti, il progettista Andrea Pigonati dovette giustificare con un libretto (La parte di strada degli Apruzzi da Castel di Sangro a Sulmona, Napoli 1783) le ragioni di ammodernare un percorso (quello del Piano delle Cinque Miglia) invece di altri due esistenti (Quarto di S. Antonio e Quarto di S. Chiara), tagliando fuori, così, Pescocostanzo dal collegamento diretto con Sulmona.
Contro questa scelta del Pigonati furono fatte considerazioni tecniche e storiche di un certo interesse da parte di Giuseppe Liberatore (Ragionamento topografico-istorico-fisico-ietro sul Piano Cinque Miglia: breve disamina. Della strada di minor dispendio, e nel verno di minor periglio pe’ Viandanti, onde internarsi negli Abruzzi da Roccaraso a Sulmona, Napoli 1789), il quale metteva in discussione il percorso delle Cinquemiglia per il fatto che era considerato pericoloso soprattutto nei mesi invernali. Tuttavia, quando Liberatore pubblicò la sua opera erano già iniziati i lavori tra Pettorano e Rocca Pia.
I lavori vennero eseguiti tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, e completati sotto il regno di Gioacchino Napoleone Murat (1808-1815), ragione per cui è ancora oggi indicata con la denominazione di “strada Napoleonica”. Così ristrutturata, la strada registrò un aumento del traffico. Vi passava per ben due volte a settimana il servizio di posta veloce (“Messaggeria degli Abruzzi”). Una locanda, posta nel territorio di Pettorano all’inizio della ripida salita verso Roccapia, garantiva ristoro e cambio dei cavalli, oltre ad essere un punto di controllo del traffico.
A partire dalla fine del XVI secolo il fenomeno del banditismo e del brigantaggio seminò terrore anche lungo questa strada. Spesso i convogli dei passeggeri e delle merci dovevano essere scortati dall’esercito tra Pettorano e Roccapia, per scampare il pericolo degli agguati. Nonostante ciò, risultano essere molte le notizie documentarie di assalti da parte dei briganti alle diligenze e gli scontri di questi con l’esercito. Vanno ricordati almeno due principali capibanda, Marco Sciarra e Santuccio di Froscia, che furono attivi in questa zona il primo verso la fine del XVI secolo ed il secondo alla fine del XVII.
Solo nel 1973 venne dichiarata strada provinciale e annoverata tra le strade turistiche dell’Abruzzo montano (D.M. 23 marzo 1973 pubblicato in G.U. n. 108 del 27 aprile 1973).
La sede stradale è tuttora ben visibile: larga mediamente m 10,00. Gli elementi di maggior pregio e consistenza sono i resti del muro di contenimento ed i canali di scolo delle acque. Nonostante i crolli che si sono succeduti nel corso dei secoli, si conserva un tratto di muro sostanzialmente integro, per una lunghezza di m 600,00 e altezza media di m 8,00. Si consideri, inoltre, che in alcuni tratti più a monte l’altezza raggiunge m 10,00. La strada originariamente convogliava le acque meteoriche sulla cunetta posta sul lato a monte; i canali servivano per scaricare le acque sul lato a valle in direzione dei valloni naturali. I canali, che attraversano interamente la sede stradale, sono realizzati in pietra squadrata con volta botte a tutto sesto. Tre dei quattro canali si conservano pressoché integri e necessitano di limitati interventi di manutenzione; l’ultimo, invece, è stato interessato da un crollo che ha distrutto parte dell’arcata di uscita.
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