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Loreto Aprutino cittadina d’arte

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Incastonata come un diamante tra la costa pescarese e il Gran Sasso, Loreto Aprutino è una cittadina  d’arte , di grande storia e di notevole spessore culturale , tra le più belle D’Abruzzo. L’antica Laurentum romana  si erge suggestiva nell’antica terra dei  Vestini sulla  sommità di un colle a 307 m.  a sinistra del fiume Tavo  tra immense distese di uliveti . Il suo centro storico  conserva intatta la propria fisionomia storico- architettonica e il caratteristico  aspetto medioevale di case e palazzi stretti intorno al Castello e si  mostra, a chi arriva in paese  dalla statale 151, in modo scenografico e di grande impatto emotivo con la policromia delle facciate delle case e l’ocra del mattone. Lo scrittore abruzzese Mario Pomilio parlando del paese così scrisse “…la creazione più originale della civiltà abruzzese … sviluppatosi a poco a poco nel tempo per lenti sedimenti, senza un progetto anteriore , ma tuttavia come obbedendo a un disegno preciso e a una sotterranea vocazione estetica.”

La storia
Il paese porta questo doppio nome solo dal 1863 quando con l’unificazione d’Italia bisognò distinguerlo dall’omonimo paese marchigiano. La  sua origine invece è antichissima, come si evince dalle innumerevoli testimonianze reperite in  zona  Fiorano dove le necropoli della popolazione Vestina rinvenute sono tantissime e probabilmente  risalgono ad insediamenti italici del IV- V secolo a.c. Il nucleo più antico di Castrum Lauretum  è stato documentato a partire dall’anno 884 e viene menzionato tra i possedimenti di Montecassino. Già dal 1071 Loreto era divenuta contea normanna e contava 1056 abitanti. Successivamente entrò nell’orbita degli angioni ,dopo una fiera opposizione a Federico II, nel 1252 fu assoggettata da Corradino. Nei secoli successivi la Contea di Loreto fu retta da potenti famiglie  tra queste nel XIV secolo dai D’Aquino, nel XV dai D’Avalos   fino a quando  nel  1806  entrò in vigore il codice napoleonico che  pose fine alle contee. Loreto reca intatte le testimonianze di tanti secoli di storia.
 
Il centro storico
Una visita a Loreto non può non partire dal centro storico, tra i trecento più belli d’Italia. In esso  si possono distinguere almeno tre fasi di espansione con due cerchie di mura, un quartiere extra moenia  loreto-aprutino-centro-storicoadibito a mercato creato nel 1500 e un nucleo , costruito tra il 1800 e il 1900 collocato nella parte a valle. Loreto ha diverse porte : Porta Castello , Porta dell’Ospedale, Porta Palamolla che conducono al paese.   Decine di strette viuzze, le tipiche ruelle, scendono verso  la via principale del Baio, antichissima strada , sulla quale si susseguono le facciate degli antichi palazzi signorili delle famiglie più importanti della storia loretese, Valentini, Casamarte, Guazzaroni, e il palazzo Acerbo uno dei più belli del borgo con prospetto scandito da paraste corinzie. Mentre ai due capi della strada definiscono la parte alta del borgo l’imponente Castello di Loreto noto come Castello Chiola per il nome degli ultimi proprietari , risalente al IX secolo dove leggenda vuole , avrebbe alloggiato San Tommaso D’Aquino . Tra gli edifici sacri di grande valore è l’Abbazia   di San Pietro Apostolo, chiesa madre di Loreto  del  1400, preceduto da una suggestiva loggia che si affaccia sulla Maiella di cui si hanno documenti risalenti al 1066 quando venne donata dal conte Tasso Normanno, la sua pavimentazione è realizzata in ceramica di Castelli. Un’altro pregevole luogo di culto è la chiesa di  San Francesco d’Assisi  che conserva tutte le sue caratteristiche medievali, un bel portale trecentesco con annesso chiostro, splendidi affreschi, la croce lignea di Francesco Novelli e un organo del 1745 di Adriano Fedri.
Il polo museale
Loreto  inoltre ha un nutrito polo museale  che conserva e divulga le memorie del paese. Il  Museo delle Ceramiche di Castelli   che  raccoglie  maioliche d’inestimabile  valore, frutto della passione del barone Giacomo Acerbo è  situato  nel centro storico del paese, subito sotto la via del Baio, vicino alla chiesa di San Pietro. L’edificio che lo ospita  era una dipendenza di Palazzo Acerbo, ristrutturata appositamente per ospitare la collezione di maioliche. Attraversato  il  portone d’ingresso, un piccolo  disimpegno precede la porta delle sale espositive, nelle quali sono conservate le maioliche della Collezione del barone Giacomo Acerbo che, nella prima metà del 1900, esattamente nel 1936, viene scelto da Diego Aliprandi de Sterlich loreto-aprutino-museocome acquirente della sua collezione , in quanto ritenuto da questi la persona adatta per conservare e valorizzare tale patrimonio. Il Barone accresce così il nucleo delle ceramiche di famiglia e poco dopo ha modo di acquistare altre maioliche dalle collezioni dei  Bonanni e dei  Quartapelle. Sul mercato antiquario compie in seguito significative acquisizioni e, durante gli anni,  la collezione raggiunge così il numero di 570 pezzi e viene allestita in forma museale nel 1957. Negli anni successivi  fu  possibile visitare la Galleria solo  sporadicamente e sempre su richiesta, fino a  quando nel 2000 la Fondazione dei Musei Civici di Loreto Aprutino riaprì al pubblico il Museo Acerbo.    Esso raccoglie pezzi datati tra l’inizio del ‘600 e il primo ‘800   che documentano l’attività delle più importanti botteghe di ceramisti di Castelli : Grue, Gentili, Cappelletti, Fuina  e di altri che ne subirono gli influssi. Si annoverano nella collezione anche rari esemplari di vasi da farmacia di stile compendiario, un insieme di maioliche fini a uso di porcellana di spiccato gusto rocaille e diversi manufatti risalenti ai primi anni del XX secolo. In seguito a un accordo tra gli eredi e l’amministrazione comunale, la collezione è stata acquistata dagli enti locali ed è attualmente gestita dalla fondazione dei Musei Civici di Loreto Aprutino.
 
Il museo dell’olio
Il Museo dell’olio invece è allestito nell’antico e innovativo oleificio di Raffaele Baldini Palladini imprenditore lungimirante che fece conoscere l’olio loretese in tutto il mondo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento ,esso è situato nel Castelletto Amorotti singolare rifacimento neogotico di fine ottocento, secondo alcuni critici su disegno   di Francesco Paolo Michetti suo caro amico . Da più recenti monografie sul Michetti si apprende che, nell’estate  del 1919  l’ ormai artista di fama e senatore , in visitaloreto-aprutino-museo-olio ufficiale a Teramo  venne accompagnato dal barone Amorotti durante una cavalcata e nel corso della cena organizzata in suo onore. Si può ipotizzare dunque che in tale occasione Michetti e Amorotti si siano conosciuti e che da lì sia scaturito un rapporto di committenza: tale ipotesi indurrebbe a collocare il rinnovo del palazzo dopo il 1919 e dunque nella piena maturità artistica del Michetti. L’opificio nacque alla fine del 1800 grazie appunto  alla volontà di Raffaele Baldini Paladini che con il suo olio vinse numerosi concorsi oleari in Italia e in Europa;  il frantoio rimase attivo fino al XX secolo, quando ai macchinari a trazione animale vennero sostituite la mola e le presse idrauliche. Il Museo presenta un originale apparato espositivo che documenta la storia del lavoro contadino e l’evoluzione delle tecnologie nella lavorazione delle olive , nelle sale vi  sono macchine e attrezzi per la frangitura , la pressatura che parte dal “trapetum” di epoca romana e arriva alle presse idrauliche del dopoguerra.
Particolare e armoniosa è una colonna stele per ampolle contenitrici di olio opera di Francesco Paolo Michetti.   Vi sono conservati  tra gli altri anche documenti firmati attestanti i riconoscimenti di  Barbella , D’Annunzio, Michetti ed altri illustri estimatori per l’olio loretese.
 
Altri due altrettanto importanti musei  attualmente rimangono ancora inaccessibili a causa dei danni provocati dal sisma del 2009, essi sono il Museo della civiltà contadina dedicato ad usi e  costumi della vallata del Tavo e l’Antiquarium Casamarte che conserva centinaia di importanti reperti storici datati dal Paleolitico fino al Medioevo.
 
La festa di San Zopito
È  centenaria  la tradizione folcloristico-religiosa di San Zopito, il patrono della cittadina . Dal 1711  ogni anno, il lunedì di Pentecoste, si ripete il rituale del Bue bianco che sfila per le vie del centro storico facendo visita ai palazzi signorili , ma la fermata più apprezzata è quella nel cortile di Palazzo Valentini, dove il noto produttore vinicolo offre tarallucci e vino a concittadini e turisti.
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In segno di devozione nei confronti del santo protettore, il bovino, cavalcato da un bambino vestito da angelo, s’inchina davanti alle reliquie del patrono in un clima di grande trasporto. La prima tappa è sempre la piccola chiesa di Sant’Antonio. In occasione della festa di San Zopito, c’è il Ritorno dei Vetturali, i venditori d’olio che partivano a cavallo e arrivavano fino a Napoli per esportare il loro prodotto d’eccellenza.  I Vetturali sfilano in un corteo di cavalli e muli  con personaggi rappresentanti alcune delle antiche corporazioni rurali, che aprono il corteo precedendo il vetturale che porta la bandiera.
 
Loreto Aprutino da gustare
La fama della cittadina vestina viene anche e soprattutto dai prodotti della sua terra. L’olio extravergine d’oliva, da anni con marchio Dop, è il miglior ricordo che il visitatore può portare via. Le colline che circondano e colorano la cittadina da secoli sono una risorsa inestimabile per l’agricoltura e quindi per l’economia locale.  L’olio made in Loreto si trova  nei migliori ristoranti della regione, ma anche nel resto d’Italia e all’estero, il discorso è lo stesso quando si parla di vino. Sono dieci le etichette che producono ed esportano il nettare di Bacco loretese.  L’importante riconoscimento del marchio Dop è  venuto  da parte dell’Arssa  anche per il fagiolo Tondino del Tavo, che cresce sulle sponde del fiume, in particolare nel tratto che attraversa proprio Loreto Aprutino. Per far gustare  i piaceri della cucina locale diversi ristoranti  propongono tipici e saporiti piatti tradizionali inoltre diverse manifestazioni  vengono promosse dall’amministrazione comunale quali  la sagra estiva e l’autunnale Lauretum  Vinum et Oleum.
 
La Chiesa di Santa Maria in Piano
E’ stata costruita su un’antica necropoli e deve probabilmente il suo nome a quello del tempio preesistente intitolato al “Pio Grano”, nome che con il passare del tempo si è tramutato nell’attuale “in piano”.  Si tratta di  una chiesa di origine romanica , più volte rimaneggiata nel corso dei secoli   che  affaccia su di una piazza tramite un porticato che è aggiunto nel Cinquecento. Subito dietro si innalza un campanile a sezione quadrata, rinascimentale nella parte superiore e medievale in quella inferiore. Alcune modifiche sono state apportate intorno al XVI secolo per volere dell’abate Umbriani, il quale si adoperò affinché l’edificio venisse ristrutturato in quanto sicuro che le sue spoglie sarebbero state tumulate all’interno della chiesa di Loreto.
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L’abside originale fu così sostituita con una a forma poligonale e la facciata esterna ornata con un porticato finestrato che introduce al portale di ingresso. Sull’ingresso laterale destro è ancora visibile un’iscrizione che riporta il nome dell’abate e l’anno in cui furono terminati i lavori, ovvero il 1560 e, al centro, si trova la lapide con lo stemma della famiglia Umbriani, che però non contiene le spoglie dell’abate.  La copertura interna dell’abbazia è a capriate in legno, a vista, intervallate da mattonelle in ceramica. Sono presenti anche importanti arredi interni, come un altare maggiore in legno dorato, con statue policrome, un piccolo pulpito in legno, anch’esso dipinto,  ed un crocefisso cinquecentesco.  
 
L’interno
Costituita da una sola navata  a quattro arcate ogivali   che suddividono l’ambiente in cinque sezioni dove sono state collocate altrettante cappelle che racchiudono  un  bellissimo ciclo di affreschi risalenti ai secoli XII-XV che rivestivano  un tempo tutte le pareti.  Attribuiti  ad un’equipe di pittori umbro marchigiani  commissionata dalla famiglia D’Aquino , feudataria della zona , ripropongono 
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diversi episodi della vita dei santi  S. Giacomo di Compostela, S. Tommaso, San  Antonio Abate con numerose scritte graffite, come quella relativa a un’eclissi anulare, realmente verificatasi ( Adi ultimo di iuglio 1590 si oscuò il sole). Gli    affreschi delle altre campate  raffigurano tra l’altro La Madonna del cardellino , Cristo giudice tra la Vergine e San Giovanni , la Risurrezione , l’Adorazione dei Magi , l’Incoronazione della Vergine ed ex voto
 
Il Giudizio Universale delle anime
All’interno della chiesa la controfacciata custodisce un affresco del Giudizio Universale di proporzioni monumentali, purtroppo mancante di una grande porzione sulla parete a destra. L’opera è stata realizzata nel terzo decennio del XV secolo  con una  tecnica pittorica particolare, simile l’encausto, cioè con i colori sciolti a caldo nella cera, al fine di creare effetti cromatici più brillanti. L’attenta ricostruzione di Don Elio Marighetto, parroco della chiesa e autore del libro “ Santa Maria in Piano visione dell’oltretomba” e suo grande estimatore, ci aiuta a capire come, già nel 1280, essa fosse completamente decorata ad affresco, ma nel tempo, a più riprese, tale apparato pittorico venne aggiornato. L’opera è stata realizzata su una preesistente raffigurazione di cui non restano tracce evidenti ed è ormai da anni al centro di una discussione su ciò che realmente rappresenti nel suo complesso, ovvero un giudizio finale o un giudizio particolare. Deriva dalla visione dell’oltretomba che Alberico da Settefrati aveva avuto all’età di sette anni durante lo  stato comatoso di una malattia.  Il suo racconto conquistò subito  Sinioretto, abate di Montecassino, dove intanto il fanciullo aveva indossato il saio tanto che  ordinò di redigerne una versione ufficiale in latino. Questa rappresentazione del  Giudizio Universale del cosiddetto “ponte del Capello” è   sicuramente   rara e poco rappresentata.
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Tutto  converge verso il “ ponte della prova ”  che costituisce il fulcro del dipinto. Esso si trova al di sopra di un fiume di pece, un ponte ampio alle basi  che si restringe al centro fino a diventare sottile come un capello; solo poche anime che lo attraversano riescono a passare dall’altra parte dove le accoglie un angelo addetto a condurle al Paradiso o all’Inferno . Alcune di esse precipitano nel fiume infernale che vi scorre sotto e a nulla vale l’aiuto delle compagne perché il ponte consente solo a poche di loro di guadagnare la salvezza.     A questa prova assistono gli angeli che spesso vengono a soccorso  delle anime in difficoltà. È un’immagine delicatissima e altamente poetica: quest’ultimo motivo è certamente l’elemento più originale dell’affresco di Santa Maria in Piano. Il dipinto si compone di tre registri: in quello inferiore è raffigurata la “Porta del Paradiso” sorvegliata da San Pietro, a cui accedono solo le anime , raffigurate ignude ,che hanno superato indenni il “Ponte del Capello” sul fiume del Purgatorio. Il ponte, a sua volta, è attraversato senza difficoltà solo da coloro la cui anima sia stata giudicata “leggera” da peccati dalla severa bilancia di San Michele. Nel registro superiore è stata dipinta la Etimasia con San Francesco, San Domenico e Sant’Agostino in adorazione del trono vuoto su cui sono individuabili i simboli della Passione di Gesù, mentre ai lati si distinguono le due schiere dei beati.  In cima Gesù è seduto su un trono ed è avvolto all’interno di una mandorla  di luce, con ai lati la Madonna e San Giovanni Battista raccolti in preghiera.  Il dipinto è stato probabilmente realizzato intorno agli anni ’20 del XV secolo, ma sono ancora molti i dubbi riguardo alla paternità dell’opera.
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Secondo il parere di alcuni esperti d’arte, sono rintracciabili delle corrispondenze tra quest’opera e quelli della Chiesa di Santa Maria della Rocca ad Offida nelle Marche, una teoria che si completa nella convinzione che il Maestro di Offida, realizzatore del citato capolavoro marchigiano, sia anche stato il direttore dei lavori della chiesa di Loreto.  Studi recenti hanno invece  teorizzato l’esistenza di un Maestro del Giudizio di Loreto Aprutino, di cui però sono ancora incerte le attribuzioni artistiche Al di là delle contese, resta la magnificenza di questa opera d’arte con gli insoliti elementi appartenenti alla cultura islamica, quale il “Ponte del capello”, della tradizione persiana o il “Giardino delle delizie” corrispondente al nostro Paradiso, la cui descrizione è presente anche in alcuni brani del Corano. Questa inedita compresenza di simboli della tradizione cristiana e islamica è sicuramente stimolo di continui studi, oltre che un affascinante proiezione del sogno di una pacifica convivenza di due culture da sempre ingiustificatamente contrapposte.
Ricostruzione storiografica di Elisabetta Mancinelli  email mancinellielisabetta@gmail.com  
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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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