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Il mosaico del Nettuno

 

Le terme romane di Vasto

Nell’estremo sud dell’Abruzzo, affacciata sulla costa dei Trabocchi, si trova Vasto, città di mare ma anche città d’arte e di cultura. Essa infatti è cresciuta sulla traccia di un grande municipium romano del quale, sotto i palazzi moderni e le dimore storiche, si nascondono gli antichi tesori. Histonium, questo il nome della Vasto romana, fu il principale centro della gente italica dei Frentani. Venne iscritta dai Romani alla tribù Arnensis e dopo la guerra sociale divenne un municipium di Roma. Tra il I e II secolo d.C., sotto Augusto e Claudio, rampolli delle nobili famiglie locali riuscirono a ricoprire alte cariche a Roma, come P. Paquius Scaeva, che fu proconsole della provincia di Cipro. La città si arricchì quindi di grandi edifici pubblici, grazie anche all’impegno delle ricche famiglie aristocratiche desiderose di mostrare il loro benessere; furono infatti costruiti l’anfiteatro, le terme e il sistema urbano di distribuzione dell’acqua. Nel 346 d.C. la città fu devastata da una terribile frana, molti edifici vennero abbandonati, altri richiesero radicali interventi di recupero. Seguirono fasi alterne, ma il declino era ormai avviato e la città subì nei secoli nuovi terribili colpi, come l’altro grave dissesto del 1457 e l’incursione del saraceno Pialy Pascià, che la mise a ferro e fuoco nel 1568. La Vasto medievale e moderna è stata costruita sopra la città romana, spesso recuperandone spazi e strutture, come l’attuale piazza G. Rossetti, che segue le linee curve dell’anfiteatro romano. Degli antichi splendori romani, nonostante i quasi duemila anni trascorsi e la successiva espansione urbanistica che ha portato a demolire man mano gli edifici antichi e costruirvi sopra i nuovi, restano molte tracce. Le numerose campagne di scavo archeologico ne hanno riportate alla luce parecchie, e tra esse le sontuose terme decorate da splendidi mosaici. Il grande complesso delle terme romane di Histonium venne costruito nel II secolo d.C., quando la città conobbe il suo periodo di massimo splendore, e i suoi resti vennero alla luce nel 1974 demolendo alcuni edifici pericolanti.

 

 

Lo scavo portò in superficie l’antico praefurnium – l’ingegnoso sistema usato per riscaldare gli antichi edifici termali – e una sala con il pavimento a mosaico ricco di animali marini e fantastici. Sul finire degli anni ’90 ulteriori scavi hanno portato alla scoperta di un’altra grande sala decorata con favolosi mosaici. Vi sono raffigurati animali e divinità marine tra le quali un meraviglioso Nettuno, dio del mare, che ci appare con il tridente nella mano destra e un delfino poggiato sulla sinistra. Attorno a lui vi sono fanciulle che cavalcano cavalli e tritoni. Stupisce la maestria dell’artista, riuscito a donare plasticità ed espressione a quelle figure pur avendole realizzate soltanto con pietruzze bianche e nere. Il pavimento a mosaico venuto alla luce nel 1974 è realizzato con tessere di tre colori: bianco, nero e marroncino. Non ha figure umane ma in compenso vanta uno straordinario campionario di animali mitologici, delfini, pesci, calamari, cozze, ricci di mare e murene. Quasi tutti i mosaici sono stati lasciati sul posto e l’area è stata coperta e attrezzata per la visita, per la quale ci si può informare presso il museo.

Mosaico del Nettuno

È il mosaico più esteso delle terme con i suoi 170 m², ma una parte non è visibile, poiché sottostà alla sagrestia della chiesa adiacente di Sant’Antonio. È stato portato alla luce nel 1997. Presenta una decorazione con raffinati intrecci di elementi vegetali stilizzati, che definiscono tredici zone a forma di quadrifoglio. Nella zona centrale, spicca la figura del Nettuno, il quale regge un tridente nella mano sinistra e un delfino nell’altra. La vasca del Mosaico del Nettuno era molto probabilmente un “frigidarium“, conteneva cioè acqua fredda. Il vano infatti era troppo grande per poter essere riscaldato costantemente, e inoltre non è stato rinvenuto il “praefurnium” che avrebbe dovuto riscaldare l’acqua.

 

Michele Montanaro –  Officina Alit Artes, “Neptunus”  2006  Vasto Marina

Histonium – Vasto (Ch)

L’antica Histonium, una delle principali città frentane, sorgeva sullo stesso sito dell’odierna Vasto. Il suo territorio iniziava a sud del porto di Ostia Aterni (Pescara) e si estendeva fino al Fortore. La leggenda ne attribuisce la fondazione a Diomede, dopo la distruzione di Troia. Al pari di molte altre città italiche romanizzate, dopo la guerra sociale, fu municipio romano iscritto alla tribù Arnensis.

Tra i culti sono testimoniati quelli di Ercole, di Cerere, del Sole, di Giove Dolicheno. La città antica è corrispondente alla città vecchia, che ne ha conservato la pianta almeno in parte. Restano le vestigia del teatro e dell’anfiteatro, delle terme, di vari acquedotti, di serbatoi idrici, di mura civiche reticolate, di pregiati pavimenti, di statue, di colonnati di granito orientale, di templi, ecc.

Il teatro sorgeva fuori del perimetro urbano. In contrada “Incoronata” è venuta alla luce una necropoli molto interessante. La zona settentrionale della città attuale, vale a dire il centro storico, ricalca l’antico impianto urbanistico romano. In quest’area ubicata sulla collina prospiciente il mare si innalzavano i templi e il Campidoglio. Nella città moderna si trovano i resti della remota città romana in gran parte riutilizzati sia nelle chiese (Madonna delle Grazie, San Pietro, piazza del Popolo), sia nelle strade e nelle piazze cittadine (Ospedale, Tagliamento, Sant’Antonio, piazza Dante Gabriele Rossetti).

Il materiale archeologico, proveniente dalla città e dai dintorni, e in particolare la ricca collezione epigrafica, sono esposti nel Museo Civico. Di rilievo sono due lastrine bronzee con iscrizioni osche, che testimoniano l’esistenza dell’abitato in età preromana. Il monumento più importante è però il grandioso sarcofago dove erano sepolti P. Pacuvio Sceva e la moglie Flavia. All’interno del sarcofago, sui lati rispettivi, sono incise le iscrizioni che si riferiscono ai due defunti. In quella di Sceva è riportata la brillante carriera del personaggio. Il sarcofago appartiene ad un raro tipo di età augustea, utilizzato da personaggi che preferivano l’inumazione in un periodo di quasi universale diffusione della cremazione.

Nel 1888 fu rinvenuta, presso la chiesa di Santa Maria della Penna in località Punta Penna, una lastra di rivestimento in terracotta appartenente ad un edificio templare, oggi conservata presso il Museo Civico Archeologico di Vasto. Il motivo principale consiste in due teste contornate da elementi vegetali: in quella di sinistra appare riconoscibile Ercole con la clava sulla destra, l’altra con volto largo e piatto e capelli a fiamma, sembra attribuibile ad una figura femminile inquadrate da una cornice di motivi vegetali, con grossi fiori a forma di campanula. Analoghe serie sono attestate in Abruzzo a Schiavi.

Nella seconda metà del XVI secolo sul pianoro intorno a Santa Maria della Penna erano visibili fra gli altri i resti di due templi e di un teatro, il che potrebbe ricollegare il contesto al noto complesso di Pietrabbondante, e ancora oggi sono visibili i resti di un abitato e forse dello stesso luogo di culto, databili fra IV-III e I secolo a.C.

Dalle terme proviene il mosaico raffigurante Nettuno: il mosaico è dimensioni eccezionali (13.50 x 12.60 m, totale di 170.1 mq), uno dei più estesi mosaici mai rinvenuti lungo l’intera costa dell’Italia adriatica con una decorazione molto articolata, basata su un raffinato intreccio di elementi vegetali stilizzati all’interno del quale campeggia la possente figura del Nettuno con il tridente e quattro Nereidi, due in sella a cavalli, una ad un drago, e una ad un cavallo marino. La grande maestria nella realizzazione dei particolari anatomici delle figure con “macchie”, di tessere bianche su sfondo scuro sembra confermare la presenza nella Histonium della prima metà del II secolo d.C. di raffinate maestranze, in possesso di grande abilità e capacità tecnica.

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