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Scoperte archeologiche nell’aquilano

Amiternum

Di Vincenzo D’Ercole

Sono molto felice di vedere il lungo lavoro di Joachim Weidig sulle fasi più antiche della necropoli di Bazzano a L’Aquila giungere a conclusione. Ricordo il primo lavoro fatto, nel 2002, da Joachim Weidig, per la sua tesi di laurea, sul gruppo di tombe definite »Otefal 2000« (nome derivato dall’impresa che doveva edificare e dall’anno di effettuazione degli scavi) e poi la grande impresa, per il diploma di dottorato tra il 2004 e il 2007, di affrontare lo studio di tutto il complesso archeologico per quanto attiene le testimonianze comprese fra IX e V sec. a.C. L’impresa è stata grande non solo per il numero dei contesti tombali esaminati: circa 600, quasi lo stesso numero delle tombe portate alla luce a Fossa e a Campovalano, ma, a differenza delle due sole altre necropoli abruzzesi edite, per la quasi totale assenza di restauri dei materiali archeologici. E, come vedremo meglio più avanti, l’assenza di restauri costituisce un limite quasi insormontabile alla conoscenza delle popolazioni preromane dell’Abruzzo. Non a caso discutemmo con l’amico Markus Egg, altro »pilastro« di questa impresa, l’ipotesi di istituire una collaborazione continuativa con il laboratorio di restauro del museo di Mainz per portare avanti lo studio, l’edizione di altri contesti protostorici abruzzesi attraverso il loro prestito per mostre ed esposizioni temporanee in Germania. La necropoli di Bazzano a L’Aquila ha rappresentato, in terra d’Abruzzo, uno dei pochi casi di un contesto archeologico, ignoto in precedenza, indagato esaustivamente, su un ampia superficie, in un lasso di tempo circoscritto fra il 1992 e il 2005, quasi totalmente a spese di privati, nell’ambito di quella che viene definita archeologia d’emergenza. Nel corso di questi ultimi venti anni i dati via emersi da Bazzano sono stati editi, in via preliminare, in diverse occasioni e i relativi reperti sono stati esposti al Convento di Assergi nella sede del Parco Gran Sasso Monti della Laga, nel Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo a Chieti (tombe 918, 953, 1566) e, in data recente, nella Casa della Cultura di Onna a L’Aquila (tombe 282, 348, 400, 456, 738, 769, 786, 832, 870, 890, 1147, 1411, 1662) allestita in collaborazione con l’Ambasciata tedesca in Italia (1). Un elemento nuovo, acquisito dopo le ricerche effettuate a Bazzano, è la »scoperta«, nel 2010, di una collezione privata messa insieme da Angelo Semeraro soprattutto negli anni immediatamente antecedenti e successivi al secondo conflitto mondiale (2). I reperti archeologici raccolti da Semeraro si riferiscono al territorio circostante l’attuale paese di Paganica (una frazione della città de L’Aquila) e mostrano una significativa serie di attestazioni distribuite lungo tutto l’arco della preistoria con maggiore densità per quanto riguarda l’età del Rame e del Bronzo. Ma il floruit delle presenze archeologiche cade nell’età del Ferro con testimonianze riconducili perlopiù a contesti funerari. Risulta difficile stabilire a quanti contesti sepolcrali si riferiscano i reperti rinvenuti da Semeraro ma quel che appare certa è la presenza di altre necropoli, a lunga continuità di vita, oltre quindi a quella di Bazzano, nel territorio circostante Paganica.

 

 

Altro elemento di »novità« sono le aree archeologiche acquisite nel corso dei lavori di rifacimento dell’asse stradale fra San Pio delle Camere e Navelli (3); qui, negli anni 2005-2009 lungo un percorso di circa 10km che corre, quasi, al centro della pianura, sono state individuati, e in parte esplorati, altri sei nuclei sepolcrali in uso fra VII e I sec. a.C. Né vanno dimenticate le aree di necropoli identificate, dall’alto, tramite i voli con gli elicotteri dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale fra il 2003 e il 2011 e, nello stesso arco temporale, la ripresa degli scavi nelle aree archeologiche di Capestrano. Tutto questo ci ha portato ad avere una visione complessiva del territorio, oggi collocato fra L’Aquila e Capestrano, che i romani, all’epoca della seconda guerra sannitica, attribuivano al popolo dei Vestini Cismontani (4). Proprio la scoperta di numerose necropoli collocate, fin dalla prima età del Ferro, in mezzo alla pianura ci ha portato ad ipotizzare come nel corso del I millennio a.C. l’agricoltura, soprattutto cerealicola, di fondovalle non venisse praticata se non in modo assai marginale. Appare evidente a chiunque come dei campi di grano non possano convivere con un cimitero a meno di non voler ipotizzare un’unica stagione di seppellimento, con relativo scavo di fosse, concentrata tra la mietitura e la semina conservando i defunti in attesa dell’unico periodo dell’anno disponibile alla deposizione sottoterra senza compromettere il raccolto. Inoltre in un terreno utilizzato a fini agricoli è del tutto fuor di luogo ed improduttivo innalzare tumuli e stele. La logica conseguenza di questo dato, ineludibile, è che la pianura fosse utilizzata per scopi produttivi ed economici diversi dall’agricoltura: la spiegazione più plausibile è la possibile convivenza fra tombe e pascoli. Anche i tumuli non costituiscono nessun problema in questo quadro: il bestiame (fra cui capre e pecore) può tranquillamente brucare l’erba sulla superficie ondulata di un sepolcro. Il comparto montano dell’Abruzzo risulta morfologicamente perfetto per l’allevamento potendo usufruire, a breve distanza, dei pascoli invernali di fondovalle e di quelli, estivi, in quota: si tratta del cosiddetto alpeggio o transumanza verticale. Appare plausibile ipotizzare che le elites o, ancor meglio, i gruppi dominanti della fine dell’età del Bronzo Finale (una traccia dei quali è visibile nei tumuli delle Paludi di Celano (5)) abbiano »convinto« le popolazioni che occupavano l’Abruzzo appenninico ad investire sull’allevamento tralasciando la »povera« agricoltura praticabile in terreni ghiaiosi di scarso spessore, posti a quota elevata come quelli della Piana de L’Aquila. Per poter disporre di molto bestiame, dei pascoli e delle riserve idriche consequenziali è necessario controllare un territorio adeguatamente esteso: questa esigenza condurrà, prima del IX sec. a.C. (momento del primo impianto delle necropoli estese nelle pianure), alla formazione di »stati« (6). In Occidente siamo abituati a inquadrare la formazione di organizzazioni politiche complesse alla presenza e allo svilupparsi del fenomeno urbano come se, senza città, non esistesse la politica e il potere decisionale (7).

 

 

Eppure la storia, anche recente, dell’Europa è piena di esempi di stati in cui la città, seppure esiste, ha un ruolo marginale come nell’impero franco di Carlo Magno. E’ ipotizzabile che gli abitanti delle tre enclaves, attualmente denominate Piana de L’Aquila, Piana di Navelli e conca di Capestrano, venissero riunite magari federando altrettante entità a carattere tribale o chiefdom se si preferisce una dizione più corretta ed aggiornata. Il ricordo di queste tre cellule insediative dell’età del Bronzo (Siedlungskammern) potrebbe essere riecheggiato anche da particolari »nomi« attestasti in epoca storica: Fificulani, Furfenses, Taresuni (8). Il comparto territoriale più occidentale, quello della Piana de L’Aquila, che in epoca romana sarà afferente alla città di Aveia, si caratterizza per la consistenza delle testimonianze archeologiche relative alla prima età del Ferro dovuta, nel caso della necropoli di Fossa, al possente interro causato dalle esondazioni, già in antico, del fiume Aterno che hanno consentito un ottimo stato di conservazione delle testimonianze funerarie relative agli inizi del I millennio a.C. (9) Correlata a ciò è la presenza, in questa area, di tombe a tumulo che, invece, latitano nelle necropoli di pianura degli altri due comparti territoriali. Il dato archeologico più macroscopico è l’ottimo standard siderurgico testimoniato nei corredi funebri sia per quanto attiene, come è maggiormente scontato, l’armamento che per la produzione di oggetti di ornamento. Si coglie immediatamente una diversa configurazione del rituale funerario fra le necropoli di Fossa e di Bazzano: più omogenea e »chiusa« nel primo caso molto più variata ed aperta ad influssi »sabino-pretuzi« nel caso di Bazzano. Purtroppo quasi nulla si può dire per l’altra »grande« necropoli indagata nell’area, quella di Varranone a Poggio Picenze (10) nella quale, tra il 2006 e il 2008, sono state riportate alla luce 229 sepolture tra cui una decina di tumuli ma la completa assenza di restauro dei materiali rende problematica qualsiasi lettura (11). Parecchi reperti della collezione Semeraro (fibule, anelli e bracciali in bronzo, impugnature di spade in ferro) sono attribuibili, tipologicamente, alla prima età del Ferro: l’unico di essi che reca però precise indicazioni di provenienza è un boccale con scanalature da Sant’Eutizio-Vicenne a Paganica che ci testimonia la presenza di un’altra necropoli nell’area in uso già agli inizi del I millennio a.C. Una necropoli che ha restituito reperti compresi tra il VI e il II sec. a.C. è stata »saccheggiata« durante i lavori effettuati dalla Protezione Civile dopo il terremoto del 6 aprile 2009 presso San Panfilo d’Ocre. Il comprensorio centrale del territorio »Vestino Cismontano«, quello oggi denominato Piana di Navelli, afferente in età romana alla città di Peltuinum, è quello che ha visto, negli ultimi anni, il maggior numero di acquisizioni per quanto attiene la problematica in esame (12). E’ stata localizzata, partendo da nord-est, una necropoli in località San Lorenzo nel comune di Barisciano, nella quale sono state indagate 133 sepolture a fossa di cronologia compresa fra VII e VI sec. a.C. distribuite in un’area di circa 2500 mq. Non molto distante si trova un altro nucleo sepolcrale, pesantemente compromesso da lavori di cava, nella zona di Campo Rosso, in comune di San Pio delle Camere, che ha restituito, nel 2006, 24 tombe a fossa di età tardoorientalizzante e arcaica. Ancora nel comune di San Pio delle Camere, nella zona di Colli Bianchi, in un’area di circa 1000 mq, sono state indagate, tra il 2006 e il 2007, 194 sepolture a fossa che occupano un ampio arco temporale compreso fra il VII sec. a.C. e il I sec. d.C.

 

 

Attraverso i monitoraggi dall’alto effettuati con gli elicotteri dei Carabinieri di Pratica di Mare sono state individuate molte tracce di necropoli: in particolare sono state oggetto di indagini di scavo, negli anni 2009 e 2011, parte delle tombe a fossa posizionate all’esterno del circuito murario di età romana di Peltuinum13. Gli scavi hanno fruttato il rinvenimento di circa 150 sepolture a fossa circoscritte fra il VII sec. a.C. e il I sec. d.C. distribuite su un’area circa 2500 mq. Nel territorio comunale di Caporciano è stata identificata una necropoli nella zona di Cinturelli che, tra gli anni 2005 e 2011, ha portato al rinvenimento di 325 sepolture di cronologia compresa fra VII e I sec. a.C.; a breve distanza è stato localizzato, nel 2005, un altro nucleo sepolcrale, di età orientalizzante-arcaica, nella zona di Rapignale. Infine a Navelli sono stati identificati due luoghi di seppellimento: uno ad ovest del paese che ha restituito 4 tombe a camera con letti funerari in osso del II-I sec. a.C. (scavi 2006-2008), l’altro ad est con sepolture a fossa di epoca orientalizzante ed arcaica (scavi 2013). Gli elementi salienti del comprensorio peltuinate ante litteram sembrano la disposizione per file allineate delle tombe a fossa tra VII e VI secolo, l’apparente assenza, nelle necropoli di pianura, di tumuli costruiti, la presenza di grandi fosse (quasi delle pseudo camere sul modello di quelle di Campovalano) riservate ad alcuni maschi »emergenti« di fase tardo-orientalizzante, la dicotomia fra necropoli di pianura a lunga continuità di vita e sepolcreti di quota o di pendio con excursus cronologico limitato al VII-VI secolo verosimilmente in concomitanza con il range di utilizzo dei relativi insediamenti d’altura. Interessante la peculiarità della presenza di due pugnali nelle »grandi fosse« della necropoli di Cinturelli (14), la precoce importazione di anforette in pasta vitrea bianca e viola dall’Oriente (tomba 96 di Colli Bianchi), la presenza di olle globulari, a collo, cordonate e delle caratteristiche ollette aperte (quasi dei pocula) con prese semicircolari sotto l’orlo. Il terzo comparto territoriale, il più orientale, è quello della Piana di Capestrano, referente, in epoca romana, alla città di Aufinum. In questo caso le ricerche si sono concentrate sulla necropoli del sito principale che risulta molto estesa ed articolata: dopo i rinvenimenti sporadici del 1940 in contrada Vatormina, riferibile anche alla prima età del Ferro, le ricerche sono riprese, a partire dal 2003, nell’area centrale del sepolcreto in località Fossascopana o Cinericcio giungendo ad esplorare anche le tombe ad incinerazione di epoca romana posta sul bordo della strada antica (15).

 

 

Diverse esigenze di tutela (impianto fognario, irrigazione, cambio di destinazione del suolo agricolo) hanno portato, fra il 2009 e il 2011 all’identificazione di numerosi nuclei sepolcrali (Chiesa di Presciano, Fonte di Presciano (16), Via dell’Olmo, Capo d’Acqua, Fontanelle) che hanno dilatato l’estensione e l’articolazione della necropoli portando ad una superficie complessiva di circa 40 ettari paragonabile alle analoghe aree sepolcrali di Bazzano e di Campovalano (50 ettari). Anche il numero complessivo delle sepolture portate alla luce assomma ora ad almeno 550 unità. Nel comprensorio di Aufinum le aree sepolcrali sembrano far riferimento all’insediamento principale non presentando quella disposizione un po’ »dispersa« sul territorio come nei casi di Aveia e di Peltuinum: un modello centripode piuttosto che centrifugo. L’esistenza di un central place pienamente riconosciuto ed accettato è rafforzata anche dalla presenza di tre o quattro statue in pietra dedicate a personaggi di rango reale come il cosiddetto guerriero di Capestrano secondo un uso diffuso lungo la costa adriatica (dalla Daunia al Piceno) in cui il modello della »città-stato« incontrava maggiore favore e possibilità di svilupparsi che non nell’entroterra appenninico. Anche la presenza di numerosi vasi in bronzo nelle sepolture, soprattutto di età arcaica, parla a favore di un commercio diffuso anche per via mare. Certo non molti indicatori archeologici (la fossa con loculo, le altre tombe disposte a raggiera intorno) indicano nella tomba 3 di Capestrano, quella del Re Nevio Pompuledio, l’esistenza di un sepolcro di rango »reale« o almeno emergente. E quello del »mimetismo sociale« rimane un problema aperto nell’ambito della decodificazione dell’ideologia funeraria dei popoli italici soprattutto per quel che riguarda i ruoli e le competenze rivestiti in vita. Appare molto evidente una sorta di »fratellanza d’armi« che accomuna, fra IX e VI sec. a.C., i maschi adulti portatori di armi, capaci di difendere o di accrescere il patrimonio comune (il bestiame ma anche gli schiavi), »autorizzati« a dare la morte senza incorrere nella riprovazione degli altri uomini o delle divinità (17). Per dimenticare gli orrori vissuti in guerra, per stordirsi e celebrare i propri eroi il »bere insieme« (simposio) è la pratica più diffusa come testimoniato nei corredi funebri da brocche, tazze, bicchieri, dolii e tutto ciò che ha a che fare con il vino. Questo mondo di pastori, guerrieri, razziatori, montanari, bevitori, inizia a declinare a partire dal V sec. a.C. quando ai tanti Re subentrano magistrati, cariche pubbliche, politiche e religiose, »democraticamente« elette; i Vestini, ormai stanziati su ambedue i versanti del Gran Sasso, stringono patti di alleanza e di federazione con gli altri popoli sabini e sanniti con i quali affrontano, nel IV secolo, lo scontro con Roma. Ma questa è un’altra storia e, forse, un altro libro che la necropoli di Bazzano potrebbe raccontare, in una seconda puntata, dedicata alle sue testimonianze di IV-I sec. a.C

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1 La mostra di Onna intitolata »I Vestini tra L’Aquila e Onna. 300 anni fa« è stata inaugurata il 4 maggio 2013; la necropoli di Bazzano venne segnalata alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo il 4 maggio 1992. A 21 anni dalla scoperta il sito di Bazzano ha una sua, sia pur piccola, sede espositiva dedicata. V. d’Ercole (a cura di), I Vestini tra L’Aquila e Onna. 3000 anni fa (L’Aquila 2013)
2 V. d’Ercole / M. G. Di Antonio, Ricerche archeologiche nel territorio orientale de L’Aquila: la collezione Semeraro. Quaderni di Archeologia d’Abruzzo 2/2010, 2012, 581-586.

3 V. d’Ercole / A. Martellone, La Via dei Vestini: archeologia, tutela e valorizzazione di un territorio. In: Atti Convegno »La promozione del territorio come opportunità di sviluppo: la Via dei Vestini« (Roma 2007) 103-119.
4 V. d’Ercole, Vestini Cismontani. In: L. F. Dell’Orto (a cura di), Pinna Vestinorum e il Popolo dei Vestini (Roma 2010) 110-137.
5 V. Acconcia / V. d’Ercole, La ripresa delle ricerche a Fossa (2010). L’Abruzzo tra il bronzo finale e la fine dell’età del ferro: proposta di periodizzazione sulla base dei contesti funerari. Archeologia Classica LXIII N.S. II, 2, 2012, 7-54.
6 V. d’Ercole / F. di Gennaro / A. Guidi: Appartenenza etnica e complessità sociale in Italia centrale: l’esame di situazioni territoriali diverse. In: M. Molinos / A. Zifferero (a cura di), Primi Popoli d’Europa. Proposte e riflessioni sulle origini della civiltà nell’Europa mediterranea (Firenze 2002) 127-136.
7 A. Guidi, Archeologia dell’early state: il caso di studio italiano. Ocnus 16, 2008, 175-192.

8 M. J. Strazzulla, La Piana de L’Aquila in età romana. In: V. d’Ercole / R. Cairoli (a cura di), Archeologia in Abruzzo. Storia di un metanodotto tra industria e cultura (Tarquinia 1998) 23-28.
9 V. d’Ercole / S. T. Di Nino, Fossa (AQ), ripresa degli scavi nella necropoli. Quaderni di Archeologia d’Abruzzo 2/2010 (2012), 512-517.
10 V. d’Ercole / M. Ruggeri, Dal saccheggio alla conoscenza. Un percorso lungo e complesso. In: Capolavori dell’Archeologia. Recuperi, ritrovamenti, confronti (Roma 2013) 49-56.
11 A. Martellone, I 110 astragali della tomba 101 della necropoli di Varranone-Poggio Picenze (Aq): una maga tra i Vestini. In: Capolavori dell’Archeologia. Recuperi, ritrovamenti, confronti (Roma 2013) 76-77.
12 Nel luglio del 2011, in occasione di lavori di sbancamento di un Parco-avventura, è stato identificato il settore italico-ellenistico di una necropoli nel territorio comunale di Poggio Picenze nei pressi del Km. 47 600 della Strada Statale 17.
13 V. Acconcia / V. d’Ercole / F. Lerza, La necropoli preromana di Peltuinum: le indagini del 2009. In: Atti III Convegno »Il Fucino e le aree limitrofe nell’antichità« (Avezzano 2011) 443-469.
14 A. Martellone, Il guerriero di Cinturelli. Considerazioni riguardo la tomba maschile 310 della necropoli di Cinturelli a Caporciano. In: Capolavori dell’Archeologia. Recuperi, ritrovamenti, confronti (Roma 2013) 71-75

15 V. d’Ercole / O. Menozzi / S. T. Di Nino, Gli ultimi scavi nella necropoli di Capestrano. In: Atti III convegno »Il Fucino e le aree limitrofe nell’antichità« (Avezzano 2011) 487-504.
16 V. Acconcia / V. d’Ercole / R. Papi, Capestrano (AQ), loc. Fonte di Presciano. Campagna di scavo 2012. Quaderni di Archeologia d’Abruzzo 2/2010 (2012), 494-500.

17 V. d’Ercole, I Vestini e la guerra prima di Roma. In: L. F. Dell’Orto (a cura di), Pinna Vestinorum e il popolo dei Vestini (Roma 2010) 138-177.

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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