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Da Pettorano sul Gizio (AQ) ad Hamilton. L’emigrazione abruzzese

Pettorano sul Gizio è un piccolo centro montano in provincia dell’Aquila a 74 Km dal capoluogo abruzzese, dopo la II G.M. la sua popolazione superava i 2.000 abitanti. Di cultura e tradizioni prevalentemente contadine, ma che” nell’arco dei secoli ha dato prova di capacità culturali, politiche ed artistiche derivategli dalla sua antica tradizione popolare, dalle vicende umane del suo popolo  … i cui figli si affermarono in ogni campo dello scibile”  (Prof. Panfilo Monaco jn PETTORANO SUL GIZIO – NELLA CORONA RADIOSA DEI CANTELMO, seconda edizione 1983).

Hamilton una cittadina (ab. 192.125 nel 1948) della provincia dell’Ontario situata all’estremità occidentale del lago Ontario. Mercato dei prodotti ortofrutticoli della penisola del Niagara. Ha assunto un’importanza notevole come centro metallurgico: altiforni, fonderie, acciaierie e costruzioni di macchine (automobili, trattori). Rappresenta un nodo di comunicazioni lacuali, stradale e ferroviari. (Fonte: Dizionario Enciclopedico Italiano – Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani)

L’anno in cui i Pettoranesi incominciarono ad emigrare in Canada non è noto, certo è che l’emigrazione in massa avvenne negli anni dopo la Seconda guerra mondiale, quando l’Italia, devastata dalla guerra, non riusciva ad offrire lavoro o certezza nel futuro.  In quei tempi per emigrare in Canada non c’era bisogno dell’atto di richiamo di un parente o amico, ma con domanda al governo si poteva emigrare, non solo uomini ma anche molte donne fecero domanda per emigrare in Canadà alla fine degli anni ‘40 e l’inizio degli anni ‘50.

Il lungo viaggio verso il Canada iniziava dal porto di Napoli. Questi giovani, molti non erano mai usciti dal loro bel paese natio, Pettorano sul Gizio, incominciarono prima il viaggio verso Napoli con l’ausilio di un taxì, accompagnati dai parenti più stretti. Arrivati a Napoli certamente pensarono: addio Napoli, addio Italia. Alla partenza, con il cuore chiuso e sventolando un fazzoletto per salutare i loro accompagnatori, videro piano piano le coste italiane scomparire e dopo 12 giorni di mare lo sbarco avveniva ad Halifax. Da Halifax, con il treno dopo 3 giorni e 2 notti, si arrivava finalmente ad Hamilton, destinazione scelta per iniziare una nuova avventura di vita. Questo il filo conduttore dell’emigrazione in Canada negli anni ’50.

Una volta arrivati ad Hamilton venivano accolti, la maggioranza da qualche parente o amico del paese, emigrati prima di loro, gli altri assistiti da personale del Governo che li aiutavano a trovare una stanza per dormire (si usava così: chi aveva spazio in casa doveva fare in modo di ospitare chi ne aveva bisogno).

Superata l’emozione di essere arrivati nella nuova terra, incominciarono a cercare lavoro per mantenersi e mandare qualcosa alla famiglia in Italia. Comincia così una nuova fase della loro vita, una parentesi difficile ed inattesa, senza nessuna conoscenza della lingua inglese, soli, senza la famiglia e, tanti, neanche più giovanissimi avendo superato i 40 anni, in giro a volte per giorni senza avere fortuna di trovare un lavoro. Gli dava un po’ di sicurezza la solidarietà degli italiani, il fatto che a quei tempi gli italiani si aiutavano a vicenda a trovare lavoro. Dopo tanta sofferenza e delusioni, gradualmente, iniziò l’integrazione; gli uomini cominciarono a lavorare nel settore delle costruzioni edili e le donne nelle campagne o in fabbriche dove si controllava la frutta, si confezionavano scarpe, camicie, vestiti ed indumenti intimi, come la Dominion Glass (vetrerie), la Allen’s Candy (cioccolate, caramelle, dolciumi) ed altre.

Emigrando, nella loro mente, accumunati dall’idea di migliorare la propria condizione sociale, forse avevano immaginato lavori già modernizzati nell’organizzazione ed invece non fu così. Si lavorava a cottimo e a volte, dopo essersi impegnati senza risparmiarsi nel lavoro assegnato, si sentivano dire a fine giornata (non c’è più lavoro per te, domani non tornare). Con la testa abbassata e con il cuore amaro, il giorno dopo si ricominciava a girare per la città, in cerca di un nuovo lavoro, magari con gli occhi pieni di lacrime e pensando “questo è il Canada? Terra del dollaro o del dolore?”. Per recarsi al lavoro, a volte si doveva prendere più di un autobus, a secondo della località e della distanza. Si usciva prestissimo e si rientrava tardissimo. In seguito, fatte le amicizie sul lavoro, si pagava chi aveva una macchina per avere un passaggio. L’altro problema grande era il clima. A differenza di Pettorano, l’inverno era lunghissimo e freddissimo. Si gelava la punta del naso, le orecchie, le mani, i piedi. Non essendo abituati alle temperature bassissime, si aspettava la primavera e l’estate per andare a scoprire la città, vedere cosa offriva, cercare e trovare un nuovo lavoro.

I primi anni sono stati davvero difficili. Molti lavoravano il sabato, privatamente, per arrotondare il soldino. La domenica, dopo la messa e pranzo, si riunivano fra loro per poter parlare del paese, delle persone care, delle cose lasciate indietro. Gli uomini preferivano fare una partita a carte. Piano, piano cominciarono a nascere nuove amicizie, e ad imparare un po’ di inglese. Con la stabilità economica arrivarono i familiari dall’Italia ed i giovani iniziarono a sposarsi. La vita cambiò. Finalmente, tornando a casa, si trovava la cena pronta e il calore del focolare domestico, non come prima quando molte volte si andava a dormire stanchissimi e senza mangiare, in una camera da letto divisa con più persone. Con l’arrivo delle famiglie tutto migliorò, l’affetto ed il supporto della famiglia è qualcosa che non è paragonabile a nulla in quanto a valore. Con il tempo iniziò anche l’inserimento nei grandi gruppi industriali: Acciaierie (Stelco), Fonderie (Dofasco) ed altre fabbriche. lavori pesanti ed anche pericolosi, ma davano più sicurezza economica e maggiori benefici.

I figli, andando a scuola, imparavano l’inglese e potevano fare da interpreti ai genitori quando era necessario: nelle banche, dal medico, etc. Pian piano non si è più in affitto, ma proprietari delle prime casette e prime automobili. Il tenore di vita migliorava e con esso ci si inseriva nella nuova società e si ricostituiva anche la comunità pettoranese tornando alle tradizioni. Chi conosceva la musica si organizzava formando una piccola orchestra per intrattenere la gente ai matrimoni e alle feste. Sul lavoro si iniziò ad apprezzare le tante qualità dei pettoranesi ai quali vengono assegnati incarichi più importanti, come la sorveglianza e l’intendenza. Si formano bravi carpentieri, muratori, elettricisti, stagnini, sarte, etc., ancora molto richiesti.

 

Vox Militiae Raffale Suffoletta – Elda Faiella

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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