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Gli straordinari lapidei da San Pietro in Albe

 

La sala dedicata ai rilievi lapidei conserva testimonianze di stupefacente bellezza, in larga parte provenienti da San Pietro e da Sant’Angelo presso Alba Fucens. La qualità e varietà dei rilievi riflette la rilevanza delle dipendenze benedettine, di cui ancora oggi è testimonianza la splendida chiesa che domina l’area archeologica, documentata già nel VI secolo. Il tempio dedicato ad Apollo venne trasformato in un edificio di culto cristiano e arricchito in età romanica, con l’intervento dei maestri cosmateschi. Vale la pena di osservarle attentamente le antiche pietre qui esposte, anche perché, come ha ben sottolineato Giuseppe Gandolfo (2004), questi ed altri reperti affini, rintracciati in tante località del territorio, attestano la grande capacità inventiva degli abili lapicidi abruzzesi, i quali si esprimono con grande libertà creativa. I reperti più antichi risalgono alla prima metà del VI secolo.

Si tratta di frammenti di plutei paleocristiani costituiti da lastre dello spessore di circa dieci centimetri su cui sono finemente scolpiti, a bassissimo rilievo, croci greche. Risalgono probabilmente al IX secolo quattro frammenti di transenne, aventi in origine funzione di finestre; sono tutti contraddistinti dalla tecnica a traforo che nei primi due si realizza con motivi a quadrifoglio e negli altri due con cinque arcatelle. Sul lato destro della sala vi è un’intera parete ricoperta da frammenti databili per lo più al secolo XII e realizzati, probabilmente, da maestranze abruzzesi minori che hanno lavorato contemporaneamente alla scuola di Gualtiero. Tra i più interessanti si annovera un frammento di stipite in cui sono finemente scolpiti due animali fantastici tra motivi fitomorfi spiraliformi ed una lastra con figura frammentaria di balena, ritratta con la bocca aperta, forse nell’atto di rigurgitare il profeta Giona.

 

 

Due frammenti di transenna presbiteriale sono databili, rispettivamente, al XII e al XIII secolo. Il primo, di forma rettangolare, presenta al centro, racchiusa da un listello, una mandorla decorata internamente da quadrifogli traforati, mentre gli angoli esterni sono ornati da quattro fiori stilizzati. Il secondo è costituito da una lastra quadrangolare in cui è inserito un motivo a traforo composto da un cerchio a corolla perlinata da cui, a raggiera, si dipartono fantastiche foglie. Non privo di affinità stilistiche con analoghi rilievi provenienti da Cimitile e Sessa Aurunca, è un reperto molto interessante, databile al secolo XII, costituito da una lastra decorata sul lato sinistro da una cimasa di foglie di acanto, raffigurante un leone nell’atto di sbranare un peccatore; tale soggetto, all’epoca molto diffuso, simboleggia probabilmente la Chiesa che distrugge l’eresia. Nel centro della sala è esposta una numerosa serie di frammenti risalenti, per la maggior parte, al secolo XII; si tratta di mensole, capitelli e figure varie che componevano il coronamento dell’antica abside e l’iconostasi originaria, sostituita in seguito dall’opera cosmatesca di Andrea. Di particolare interesse, anche se di controversa interpretazione, è il pilastrino che reca la seguente iscrizione: ABAS OD / O RISIVS / FIERI FECIT, MAGISTER / GVALTERIVS, CVM MORON / TO ET PET / RVS FECIT / HOC OPVS.

L’iscrizione indica quindi il committente dell’iconostasi, Oderisio identificabile con l’abate che dal 1123 al 1126 fu a capo dell’Abbazia di Montecassino, e i maestri che realizzarono l’opera: Gualtiero, Moronto e Pietro. Non è del tutto certo che appartengano al medesimo insieme due capitelli, uno dei quali poggia sul pilastrino e presenta un uomo che afferra per le zampe due leoni, mentre gli altri lati sono ornati da foglie d’acanto. L’altro capitello mostra decorazioni in altorilievo ispirate all’arte classica. Ai lati del pilastrino si osservano ulteriori frammenti, realizzati prevalentemente nell’officina di Gualtiero, caratterizzati da eleganti intagli a altorilievo e a tuttotondo, non lontani nello stile dalle coeve esperienze campane, nella Cattedrale di Salerno e nella chiesa di San Menna a Sant’Agata dei Goti. Dello stesso abilissimo scultore, attivo nel secondo decennio del secolo XII, sono altri reperti che si lasciano apprezzare per soluzioni di sconvolgente modernità. In particolare si segnala la mensola con il profilo maschile, dove i capelli e la barba hanno un andamento sinuoso, a onda, che sembrerebbe evocare la superficie del lago Fucino che dominava quest’area della Marsica. Anche l’occhio ben inciso di quest’uomo di profilo, e quelli pungenti del curioso personaggio scolpito sul capitello mentre trattiene due leoni per le zampe posteriori, parrebbe alludere alla profondità di una visione acuta, spinta sempre lontano.

 

 

Per tale motivo il rilievo ha ispirato il logo del Castello Piccolomini di Celano, un tempo affacciato su un lago che alimentava fascinose leggende. L’economia delle comunità che sorsero intorno al lago, il terzo della penisola italiana per estensione, aveva uno dei suoi punti di forza nella pesca. Non sorprende quindi la frequente presenza di pesci nel bestiario medioevale illustrato in queste nobilissime pietre intagliate le quali evidenziano un repertorio figurativo simbolico funzionale all’ornato di elementi architettonici quali plutei, lastre di iconostasi, capitelli, mensole, formelle, frammenti di stipiti. Di diversa provenienza è il rilievo raffigurante la Madonna in trono col Bambino, in origine nella suggestiva chiesa di Santa Maria in Valle Porclaneta, a Rosciolo, tradizionalmente attribuito al maestro Nicolò attivo nell’XI secolo sulla base di raffronti stilistici con il monumento funebre eseguito dallo stesso maestro. Si tratta di una formella rettangolare su cui è raffigurata, in bassorilievo, la Vergine Regina in trono col Bambino benedicente seduto in grembo. Il rilievo è stato attribuito al maestro Niccolò, lo stesso artista che eseguì il proprio monumento funebre all’interno della chiesa di Rosciolo.

Di Lucia Arbace

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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