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Saturnino Gatti vita e opere

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Cenni biografici

Della vita privata di questo grande e misconosciuto artista sappiamo poco o nulla. La data della nascita si desume dal libro dei fuochi del 1508 dove è registrato come Mastro Satornino fillio di Johan Gatto di Sancto Vectorino di anni 45. Dal Bindi si apprende che il padre era macellaio e che aveva quattro fratelli. Sappiamo ancora che intorno al 1494 si trasferì a L’Aquila con la moglie, Faustina di Bernardino Sfrajo di Paganica, da cui ebbe cinque figli. I legami con Silvestro di Giacomo, di cui presumibilmente fu allievo, sono documentati da alcuni atti notarili che coprono l’arco di circa un ventennio, dal 1477 al 1494. Morì nel 1518, come risulta da un rogito del 25 Giugno dell’anno successivo.

La Figura e l’Opera

La sua attività si svolse tra Abruzzo, Umbria e Calabria a cavallo del XV e del XVI secolo, nell’ambito di quella fortunata e fervida temperie artistica, che animava la città di L’Aquila con la presenza di pittori, scultori, architetti di successo, come lo stesso Silvestro di Giacomo, come Giovanni di Biasuccio, Francesco da Montereale e Cola dell’Amatrice, come quell’Antonio di Percossa, di cui sembra si siano perse le tracce, ma che sicuramente rivestì un ruolo non secondario in questo ambiente, documentato quale socio di Saturnino sia nell’Abbazia Morronese, sia nel Convento di Terranova in Calabria, luoghi celestiniani.

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Fig. 1 – S. Gatti. Resurrezione, 1491-94. Affresco. Tornimparte (AQ), fraz. Villagrande, Chiesa di S. Panfilo

L’arte aquilana, sul finire del ‘400, si andava aggiornando sulla cultura artistca umbro toscana ed in particolare su quella fiorentina, come d’altronde la maggior parte dei centri italiani, in specie sulle novità introdotte da quell’ineguagliabile “crogiolo di cultura” che era stata la bottega del Verrocchio, di cui Saturnino fu il più appassionato interprete in Abruzzo (fig. 1).Secondo alcuni studiosi la sua formazione avvenne in Umbria, dove l’arte verrocchiesca era stata introdotta dal Perugino giovane, allievo del maestro fiorentino con Leonardo e Ghirlandaio. È del 1488 una promissio pingendi relativa agli affreschi, perduti, della Chiesa di San Domenico a l’Aquila cui seguì un periodo di intenso lavoro, su commissione di ordini religiosi e di confraternite. Risale al 1490 il contratto per quelli di Santa Caterina in Terranova, l’odierna Terranova Sappo Minulio, dove era stato chiamato dai frati celestini, insieme al Percossa, suo socio anche nelle perdute opere dell’Abbazia Morronese, come sopra ricordato.

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Madonna in trono con Bambino, primo decennio XVI secolo. Gruppo statuario di arte fittile, policromato e dorato. L’Aquila, Basilica di Collemaggio. (Attualmente ospitato nel Museo Paludi di Celano)

L’attività nella Val Nerina è invece attestata sia da una ricevuta di pagamento del 15 Febbraio 1494, riguardante gli affreschi di Santa Maria della Pieve a Norcia, dove era stato affiancato dal nursino Giovannantonio di Giordano, sia dall’esecuzione di alcuni episodi della vita di Santa Margherita, all’interno della omonima chiesa di Cascia, a lui attribuiti da Fabio Marcelli. Negli stessi anni, 1490-94, è documentata anche l’affrescatura della Chiesa di San Panfilo a Tornimparte (figg. 2 e 3), al termine della quale furono chiamati i maestri Silvestro dell’Aquila e Cola da Casentino per valutarne la congruità del compenso. Il ciclo pittorico decora l’intera struttura absidale della chiesa e rappresenta, nel catino, Dio Padre in Gloria e Santi, alcuni episodi della Passione di Cristo nel registro inferiore, La Vergine Annunciata e L’Arcangelo Gabriele, ai lati dell’arco, nel cui intradosso sono I Dottori della Chiesa ed alcuni Profeti. Si impone fra tutte le immagini, e con tutta la sua forza espressiva, quella del Cristo Risorto, come pure di alto livello qualitativo è la figura di Dio Padre che, dall’alto della conca absidale ed al centro della mandorla, disegnata da un nugolo di cherubini, sovrasta con la sua possenza la teoria dei Santi e dei committenti. Sempre da una promissio pingendi veniamo a conoscenza che Saturnino, nel novembre 1494, subentrò a Magistro Silvestro Jacobi de Turri nell’affrescatura, purtroppo irrimediabilmente perduta, della Cappella di San Giovanni in Collemaggio. Forse proprio per questo avvicendamento all’interno della basilica celestiniana, nello stesso torno di tempo, lo splendido gruppo fittile della Madonna in trono con Bambino, miracolosamente scampato al terremoto del 6 Aprile 2009, è stato sempre dubitativamente attribuito all’uno o all’altro artista, al maestro oppure all’allievo. A questa prima fase della produzione pittorica è da ricondurre la delicata Madonna con Bambino, di proprietà della Cassa di Risparmio dell’Aquila, dove la lezione appresa da Varrocchio è attenuata dalla grazia e dall’eleganza delle immagini di Botticelli, un altro dei geniali “apprendisti” della sua bottega fiorentina.

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Negli stessi anni dipinse due tavole a tempera per il Convento di San Giuliano a L’Aquila, una Madonna con Bambino, forse da identificare con quella rintracciata, alcuni anni or sono, presso la Collezione Marignoli da Spoleto, ed il ritratto del Beato Vincenzo dell’Aquila, ovviamente anteriore al 1504, anno della sua morte. Nei primi anni del ‘500, assistiamo ad un graduale mutamento, o meglio ad un aggiornamento artistico in direzione umbro laziale, trasformandosi le spigolosità dei volti in delicate fisionomie peruginesche, le asperità delle linee in morbida forma plastica, influenzata quest’ultima dall’impostazione equilibrata della pittura di Melozzo di Forlì, certamente mediata dall’opera di Piermatteo d’Amelia e dell’ultimo Antoniazzo Romano. Espressione del nuovo corso è la Madonna del Rosario e Santi, una pala d’altare di grandi dimensioni (249×175 cm.) realizzata nel 1511 per l’omonimo altare della Chiesa di San Domenico, dipinta su disegno di Antonio Percossa e testimonianza del ventennale sodalizio tra i due artisti. L’opera, conservata nel Museo dell’Aquila sino al recente evento sismico, costituisce il fondamentale riferimento non solo per lo studio dell’autore, ma anche per un maggiore approfondimento della Pittura abruzzese del Cinquecento. In essa le spinte dinamiche ed il vigore plastico (Boffi) degli anni precedenti si attenuano in un’impostazione più equilibrata, lontana dalla vivacità formale degli affreschi di Tornimparte. A questa tavola, di particolare complessità e di elevata qualità artistica, i critici hanno avvicinato una Madonna in trono e due Angeli di splendida fattura, originariamente nella Cappella di Palazzo Margherita. L’attribuzione a Saturnino Gatti è giustificata dalle somiglianze di stile e di iconografia tra le due opere, rivelando esse la comune lezione di Antoniazzo Romano nell’ampiezza delle forme, e numerosi riferimenti a Fiorenzo di Lorenzo, come la modulazione del panneggio e l’incidenza della fonte luminosa (Serra). Nello stesso torno di tempo gli studiosi collocano Il trasporto della Casa Santa di Loreto della Pierpont Morgan Library and Museum di New York, ora al Metropolitan, attribuita da Federico Zeri e da Ferdinando Bologna al maestro aquilano sulla base dei riscontri stilistici. Qui traspare ancora una volta l’adesione alle novità introdotte dalla contemporanea Pittura umbra, in particolare agli stilemi dell’eclettico Fiorenzo di Lorenzo, ma anche alla lezione di Pintoricchio e di Caporali, adesione confermata anche da una raffinata Madonna con Bambino della National Gallery, in cui Pietro Scarpellini ha di recente ravvisato una loro probabile collaborazione. All’attività pittorica Saturnino Gatti associò, sin dall’inizio, quelle di scultore del legno e di figulo, entrambe poco documentate.

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La più antica statua fittile, secondo Roberto Cannatà, è il Sant’Antonio Abate di Cornillo Nuovo, frazione di Amatrice, all’epoca in territorio aquilano, forse unitamente alla Madonna in trono con Bambino della stessa chiesa, il primo dei quali definito dallo studioso una traduzione scultorea del dipinto di Dio Padre a Tornimparte, mentre la seconda ripropone, a nostro avviso, la formula iconografica delle coeve Madonne di Silvestro. Una testimonianza di arte plastica che rientra invece nel nuovo percorso stilistico, quindi contemporanea della pala della Madonna del Rosario, è il Sant’Antonio Abate del Museo Nazionale d’Abruzzo, in terracotta policroma. Purtroppo la statua, unica superstite della tarda produzione di Saturnino, è stata ridotta in mille pezzi dalla violenza del recente sisma.
Era conservata originaraiamente nella Chiesa di Santa Maria del Ponte, nel comune di Tione, insieme con una dispersa Madonna in trono con Bambino. Di entrambe, già attribuite al nostro artista dal Leosini, ci diede pure notizia Antonio De Nino prima (1899) e Maria Rosa Gabrielli dopo (1934), che le assegnò al Gatti in modo definitivo, sulla base di un rogito del 1512 a firma del notaro Francisco Dominco de Fonticulis. Un’altra mirabile opera riferita da alcuni a Saturnino è il cosiddetto Presepe di Tione, più correttamente Natività, originariamente sempre nella Chiesa S. Gatti (attr.), 1510 ca. Trasporto della Santa Casa di Loreto, Dipinto su tavola. New York, The Metropolitan Museum of Art (già nella Pierpont Morgan Library and Museum). Santa Maria del Ponte, oggi nel Museo Paludi insieme con le Opere d’Arte recuperate dalle macerie del terremoto dello scorso Aprile. Molto probabilmente le figure di San Giuseppe, della Madonna e del Bambinello erano facevano parte di una grande composizione presepiale, alla stregua di analoghe rappresentazioni coeve, come il Presepe di Leonessa e quello di Calvi. La tradizionale attribuzione a Saturnino Gatti fu messa in dubbio da Mario Moretti (1968), che ricondusse le tre statue ad uno scultore dell’area di Silvestro dell’Aquila, mentre in seguito sono state assegnate ad un artista anonimo della sua cerchia e collocate tra la fine del XV e l’inizio del XVI. Poiché secondo gli studiosi il nostro plasticatore gravitava comunque intorno alla bottega di Silvestro, tanto da essere ricordato al suo fianco per molti anni, e poiché lavorò in territorio aquilano nello stesso periodo, ci è sembrato naturale continuare la ricerca in tal senso.

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L’approfondimento dello studio storico artistico in questa direzione ha dato dei buoni risultati riconducendo ancora una volta alla produzione di Saturnino.  Infatti oltre alla circostanza, certamente da non sottovalutare, della provenienza di questa Natività dalla stessa Chiesa del sopra menzionato ed autenticato Sant’Antonio Abate, nonostante l’impossibilità di ulteriori ed illuminanti confronti con la perduta Madonna in trono, pure da Santa Maria del Ponte, si evidenziano nel gruppo sacro delle indubbie affinità con le opere del primo periodo, memori delle sculture verrocchiesche, specie nella linea marcata ed incisiva dei volti di Maria e di Giuseppe. Pur tuttavia affiora nelle “figure” quel nuovo segno del Saturnino maturo, delicato nelle fisionomie e nella resa delle chiome, nella cura dei dettagli dell’abbigliamento dalle pieghe più morbide, segno che diventa plastico nel paffuto Bambino disteso e sagambettante, dagli inconfondibili riccioli rilevati, così somigliante a quello fittile di Città Sant’Angelo ed a quello dipinto di New York. La compresenza di questi elementi giustificherebbe un anticipo di datazione rispetto al Sant’Antonio, ahimè frantumato, più prossima quindi alla fine del ‘400, forse anche ai primi anni del secolo XVI. Innegabili sono inoltre le analogie con il Presepe monumentale di Leonessa, conservato nella Chiesa di San Francesco della città reatina. Questa complessa e scenografica opera di terracotta, di impronta umbro pintoricchiesca, alternativamente e genericamente riferita ad ignoti maestri abruzzesi, o anche segnatamente a Paolo Aquilano, a ben vedere mostra non pochi riscontri con la Natività di Tione, risultando le tre figure leonessane e le corrispondenti tionesi, quasi copie le une delle altre. Il confronto poi con un dipinto raffigurante l’Adorazione dei Pastori, attribuito a Bartolomeo Caporali, ma anche a Fiorenzo di Lorenzo, ne conferma la discendenza diretta dall’ambiente artistico umbro di fine ‘400. Queste riflessioni portano a ritenere i due Presepi opera di uno stesso figulo, sempre più vicino a Saturnino, o con lui identificabile, sicuramente coadiuvato da altri plasticatori, soci e/o allievi, in considerazione della complessità di quello leonessano, conservato integralmente.

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a datazione del 1501-2, comunemente assegnata a quest’ultimo, confermerebbe, inoltre, il periodo cronologico da noi indicato anche per la Natività aquilana. Due splendide Madonne di terracotta plasmata, una del Museo Nazionale d’Abruzzo proveniente da Spoltore, l’altra, con Bambino, nella sua collocazione originaria di Città Sant’Angelo, sono state di recente avvicinate ai modi del nostro figulo e cronologicamente collocate a cavallo dei secoli XV e XVI (Tropea, Caranfa).
In sede di approfondimento critico abbiamo trovato un interessante collegamento a conferma di questa tesi, un trait d’union tra le due statue del Pescarese e l’attività umbra di Saturnino: si tratta di una Madonna in trono, una volta con il Bambino in grembo, nella Parrocchiale di Castelluccio di Norcia, opera di uno strettissimo collaboratore di Saturnino, di quel Giovannantonio di Giordano che lo aveva affiancato negli affreschi nursini della Pieve.

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La statua lignea, eseguita nel 1499, di raffinata qualità stilistica e di mirabile perizia tecnica, mostra palesi similitudini formali ed iconografiche con quella di Spoltore e soprattutto con l’altra di Città Sant’Angelo, modellate nella creta, rimandando ad un unico indirizzo di scuola, e forse ad un comune prototipo. Sebbene le assonanze della Madonna umbra con le due Adoranti, di Tione e di Leonessa, appaiano invece meno evidenti, forse per il diverso soggetto sacro rappresentato o anche per una possibile anticipazione cronologica di queste ultime, il Bartolomeo Caporali (prima attr. Fiorenzo di Lorenzo), 1490 ca. Adorazione dei Pastori, partic. Tempera su tavola. Perugia. Galleria Nazionale Umbra. nesso iconografico e di stile tra le statue si ravvisa nella tipologia dei Bambinelli superstiti, oltre che in quello dipinto del Metropolitan, e riporta l’attenzione su un disegno e su un’interpretazioneartistica riconducibili ai modi del Gatti, ispiratore o autore che ne sia stato. Poche sono le notizie degli ultimi anni della vita di Saturnino Gatti. Nulla resta della produzione successiva al 1512. Siamo a conoscenza di una statua fittile raffigurante San Benedetto (1513) commissionata da un omonimo paese dell’Aquilano (San Benedetto in Perillis o San Benedetto dei Marsi?), oltre che di altre due opere rimaste incompiute a causa della sopravvenuta morte, un San Sebastiano  ligneo richiesto dalla omonima Confraternita dell’Aquila nel 1517, ed un gruppo di terracotta raffigurante La Pietà con San Giovanni e Santa Maria Maddalena da realizzarsi per la Cattedrale di Ascoli Piceno. La presenza di Cola dell’Amatrice in quest’ultimo atto notarile, rogato il 22 marzo 1518, conferma l’esistenza di un rapporto di amicizia tra i due personaggi e porterebbe ad ipotizzare una produzione del Nostro aggiornata sulle novità introdotte dal celebre artista, annoverato tra i protagonisti della Pittura marchigiana di quegli anni.

(Pro Loco Tornimparte)

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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