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Don Donato De Donatis

Don Donato De Donatis nacque nel 1761 a Fioli, frazione di Rocca Santa Maria, da Gregorio e Annantonia Bilanzola di Acquaratola. Da piccolo spesso dimorava presso lo zio materno Don Giovanni Antonio Bilanzola che lo avviò alla vita sacerdotale, incoraggiato anche dalla madre. Tuttavia, non sempre il giovane aspirante esternava comportamenti adeguati a chi aspira al sacerdozio. Nel 1794, a 33 anni, fu ordinato sacerdote ed ebbe l’incarico di parroco di Pezzelle, mentre in quel periodo a Fioli, suo paese natio, era parroco Don Carlo Emidio Cocchi. Teramo, dopo la campagna di Napoleone in Italia, cadeva sotto il dominio francese tra alterne vicende di masse cittadine e montanare che si sollevarono, reagendo al nuovo governo. Durante la ribellione furono in molti ad approfittare del disordine, facendo un gran bottino di denaro, oro, gioielli e argenteria. Tra tutti si distinse proprio Don Donato De Donatis, insieme a Don Carlo Emidio Cocchi e a Don Donato Naticchia di Frondarola: essi rubavano e assassinavano senza remore, dimenticando il loro ministero sacerdotale. Il generale di brigata Planta, comandante del battaglione francese che presidiava Teramo, non appena insediato decise di prendere la via della montagna per dar la caccia ai briganti e debellarli. Scoraggiato dall’impraticabilità dei luoghi e dall’intenso freddo dell’inverno, nonché dalle molestie degli insorgenti, il Pianta attuò allora un piano per accerchiare il quartier generale dei briganti: divise le sue truppe in due colonne, di cui una doveva risalire il fiume Tordino e l’altra il Vezzola, per riunirsi sopra Villa Tofo e assalire il nemico accerchiato. Le sentinelle appostate sulle alture però si accorsero in tempo del tranello e, dato l’allarme, riuscirono a far mettere in salvo quasi tutti. Il Pianta fu così costretto a rientrare a Teramo con il magro bottino di 27 prigionieri, di cui 17 furono fucilati e gli altri vennero rimessi in libertà dopo essere stati obbligati a passare sui cadaveri degli altri e a rivelare i nomi dei loro capi. Oltre a fare il nome di Don Donato, ormai noto con l’appellativo di “Generale dei Colli”, i malcapitati riferirono anche che questi era un uomo invincibile, possedendo un “contrarme”. In realtà egli nascondeva nel suo giubbotto pallottole di fucile che, al termine di ogni combattimento, per accrescere la propria fama, mostrava ai suoi seguaci asserendo che quelle erano pallottole di fucili francesi che per merito del “contrarme” non causavano ferite sul suo corpo.

Don Donato si rivelò presto “uomo di poche lettere ma di molto ingegno e grande coraggio che amava mostrare anche col cavalcare cavalli bizzarri ed indomiti… nato a fare tutt’altro che il prete… senza segno di sacerdotizio in dosso, con la scimitarra al fianco, colla bestemmia in bocca, corteggiatore di vili sgualdrinelle e, peggio ancora, di incauti giovinetti…”

Contro di lui il generale Pianta continuò con ogni accanimento la caccia e pose sulla sua testa la taglia di 600 ducati. Ma Don Donato riorganizzò la sua truppa per attaccare ancora i francesi e il Planta, dopo aver subito ancora una ritirata, più che mai adirato ed umiliato, obbligò il Vescovo di Teramo a scomunicare il “Generale dei Colli” e il suo aiutante Don Carlo Emidio Cocchi. Il 10 febbraio 1799 fu emessa la scomunica, sottoscritta il successivo 16 ottobre dai parroci della diocesi aprutina.

Fu proprio in questo periodo che i camplesi, ai quali erano state richieste ingenti somme di denaro dal comandante della fortezza di Civitella del Tronto, si rivolsero a Don Donato per essere aiutati. Egli intervenne prontamente con i suoi uomini, dichiarando decaduta la Repubblica nel territorio di Civitella, ripristinando il governo monarchico ed obbligando i francesi ad abbandonare la cittadina. Dopo questo avvenimento i francesi lasciarono l’intero Abruzzo, anche per poter concentrare le loro forze in Lombardia dove stavano combattendo contro l’Austria.

I primi a giungere a Teramo ormai libera furono i fratelli Fontana di Penne. Questi presero facilmente il governo della città, non pensando di dover fare i conti con Don Donato che mirava anch’egli a quell’obiettivo, per cui lo scontro fu inevitabile. Mentre il Generale dei Colli avanzava per lo stradone di S. Giorgio, su cui era puntato un cannone presidiato personalmente da uno dei Fontana con la miccia in mano pronto a dar fuoco, accortosi del pericolo trovò rifugio in un’abitazione il cui portone d’ingresso era aperto. Il Fontana, che non lo perdeva d’occhio, lo raggiunse in quel luogo, deciso a dargli la morte. Il proprietario dell’immobile fece da intermediario fra i due e Don Donato fu salvo, ma costretto a lasciare la città umiliato per lo smacco subìto.

Dopo che Civitella venne abbandonata dal presidio francese, con gran sollievo fu cantato il Te Deum e fu issata la bandiera Reale dei Borboni. Per rinforzare la guarnigione legionaria venuta da Napoli, il 3 maggio 1799 Don Donato fu chiamato nella cittadina dal generale De Cossio, per assumere il comando della Fortezza; non si fece pregare e vi fissò la sua dimora trascorrendo i primi giorni in pieno accordo con il generale. Da questi però si dissociò ben presto per gelosia di comando: riuscì a far dileguare i suoi seguaci e addirittura alcuni di essi entrarono a fare parte della sua masnada. Privo di scrupoli, De Donatis fece uccidere anche molte persone “scannate come maiali”. Si diresse poi ad Ascoli per aiutare gli uomini del capomassa Sciabolone (alias Giuseppe Costantini, 1758-1808), che da tempo cercava di liberare la città dai francesi. Qui gli “insorgenti” si abbandonarono a saccheggi e violenze e le loro scelleratezze furono note anche al re Ferdinando IV che, trasferitosi a Palermo dopo la proclamazione della Repubblica Partenopea, inviò un dispaccio al Generale dei Colli in cui esprimeva il suo disappunto per i massacri e i saccheggi che venivano compiuti.

Qualche mese dopo De Donatis e Sciabolone erano a Ripatransone per difendere il paese da rappresaglie francesi, dandosi a bagordi e divertimenti. Nel colmo dei festeggiamenti, gli avversari irruppero nel paese generando un grande scompiglio. Don Donato riuscì a mettersi in salvo ma, nella fuga, si slogò un piede; a spalla dei suoi riuscì a raggiungere Civitella, mentre Sciabolone, rientrato ad Ascoli, cercò di fortificare la città e di resistere all’attacco nemico. Sconfitto, dovette lasciare la città al Governo francese.

Don Donato partecipò poi all’assedio di Ancona a capo di una compagnia di irregolari. Qui fu ricevuto con grandi onori e fu proclamato “capo indiscusso di le forze napoletane” dal cardinale Ruffo. Più tardi il generale De Lahoz, non raggiungendo un accordo soddisfacente e non accettando il suo comportamento lo fece arrestare dai francesi.

Portato a Roma per giustificare la sua condotta, fu liberato e gli fu ordinato di tornare a Civitella. Finì qui la carriera militare di Don Donato De Donatis che decise, in seguito, di riprendere l’abito talare. Rivolse poi una supplica a Re Ferdinando per ottenere da lui benefici in virtù dei servizi prestati, allegando anche certificazioni rilasciate dagli amministratori dei diversi paesi presso cui aveva operato (Civitella, Valle Castellana, Campli, ecc.). Unì anche un elenco di suoi seguaci, chiedendo per ciascuno riconoscimenti e compensi per la loro fedeltà alla corona. Inviò poi il fratello a Napoli per meglio difendere la loro causa presso il Sovrano.

Le richieste ebbero buon esito e vennero loro riconosciute rendite vitalizie. Al De Donatis furono riconosciuti 1.200 ducati l’anno, e, per una sola volta, ducati 31.000 “da prendersi sulla rendita dei beni dei rei di Stato”. Per mancanza di denari gli erano però stati dati solo 28.574 ducati; chiese allora che per la rimanente somma di 2.426 ducati gli venissero assegnati alcuni terreni arativi con alberi del soppresso convento di S. Agostino in Scapriano, nella contrada S. Martino. Nell’archivio di Stato esiste effettivamente il carteggio relativo a tale richiesta con data 1800.

Napoleone, tornato in Francia dopo la guerra d’Egitto, si era proclamato Primo Console ed aveva ripreso la sua offensiva contro gli stati europei. Anche l’Italia tornò sotto il dominio francese, Re Ferdinando di Borbone dovette rifugiarsi in Sicilia e il Regno di Napoli fu affidato a Gioacchino Murat. Col ritorno del nuovo governo, cominciarono le ritorsioni verso tutti coloro che durante la precedente dominazione avevano contribuito al ristabilimento del governo borbonico favorendo il Re Ferdinando.

Fu così che anche Don Donato De Donatis incorse nel mirino dei francesi. Egli fu arrestato a Teramo nel 1805 e condotto all’Aquila per essere processato. Riconosciuto colpevole, gli fu data come pena il carcere a vita da scontare a Chieti, ma mentre veniva condotto in questa città con altri otto, incatenato e scortato, nei pressi di Popoli fu fucilato.

(tratto in larga parte da una ricerca di Davide De Carolis dal titolo: “Il Brigantaggio durante l’invasione francese nel teramano e in Abruzzo”)
@ Tratto dal sito di Francesco Mosca

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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