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Una possibile origine longobarda della Corsa degli Zingari a Pacentro

Una cerimonia di iniziazione dei giovani della comunità nel loro passaggio all’età adulta simile a quelle documentate a Benevento, e a Pacile dal caso di san Panfilo, si è conservata sempre in Valle Peligna, nello storico Castello di Pacentro, posto a controllo di uno dei crocevia dei collegamenti viari fra l’Abruzzo adriatico e le aree interne. Fondamentale fra le sue tradizioni è infatti la “Corsa degli Zingari”, gara podistica a piedi nudi che si tiene la prima domenica di settembre, da qualche secolo dedicata alla Madonna di Loreto; nell’occasione i giovani salgono sul Colle Ardinghi, di fronte all’abitato, e al suono della campana della chiesetta della Vergine, partendo da uno spunzone di rocca noto come Pietra Spaccata, si lanciano scalzi lungo il ripido sentiero che dal colle scende al torrente Vella, risalendo poi sul ripido fianco della collina sino alla succitata chiesa, alla periferia di Pacentro, riportando nell’impresa numerose ferite.

Al di là delle leggende la Corsa degli Zingari, documentata per ricostruzione orale e documentale già fra XIV e XVIII secolo, tanto che l’edizione svoltasi nel 2017 è stata dichiarata la 567ª consiste in un rito molto somigliante alle tradizioni di origine germanica che abbiamo in precedenza segnalato a Benevento e nella stessa Valle Peligna a Pacile. È infatti simile a quella descritta nella tradizione di S. Panfilo, con i partecipanti che scendono a piedi a precipizio verso il torrente Vella come il santo si precipitava su un carro verso il fiume Gizio; al termine della Corsa, quando l’ultimo concorrente è arrivato stremato alla chiesa, le porte si serrano per il necessario soccorso ai concorrenti, per riaprirsi poi al corteo del vincitore, che riceve in premio l’ambìto Palio, un taglio di stoffa nei tempi passati usato per cucire il vestito buono, e a cui doveva essere destinata in sposa la donna più bella, mentre i primi tre classificati sono portati in spalla dai compagni per le vie del paese.

Una siffatta testimonianza etnografica appare collegabile all’avvenuto stanziamento nella zona di nuclei di popolazione longobarda, poi organizzatasi, secondo dinamiche analoghe a quelle qui ricostruite in area costiera, considerato che l’area di Pacentro era all’epoca con ogni evidenza situata ai confini nord del ducato di Benevento, verso il ducato di Spoleto ed in particolare Valva, ed il cui primo gastaldo, Camerino, compare in un placito del 751 del duca di Spoleto Lupone. La situazione nella zona dovette mutare alla fine del secolo, quando Carlo Magno, in occasione della sua incursione del 787 nel principato di Benevento, oltre ad ottenere una formale sottomissione da parte del principe Arechi II e la consegna in ostaggio del figlio Grimoaldo, dichiarava sottoposti al suo mundiburdium i due celebri monasteri di San Vincenzo al Volturno e Montecassino, ubicati a sud, proprio al fine di contenere con efficacia il ducato stesso, che aveva conservato una sua autonomia, al confine con il ducato di Spoleto, ormai ridotto sotto il controllo imperiale.

La dipendenza del territorio di Pacentro da S. Vincenzo al Volturno, documentata solo agli inizi dell’XI secolo, all’epoca dell’imperatore Enrico II e dei conti di Valva Berardo e Teodino, quando il Iudicatum de ecclesiis de Balva inserito nel Chronicon dell’abbazia menzionava fra le sue dipendenze locali «ipsa ecclesia beati Sancti Leopardi, que est in Pacentru, cum suis pertinenciis», che veniva all’epoca da parte dell’abbazia rivendicata in quanto era stata precedentemente sottratta, doveva dunque costituire il residuo di una situazione ben precedente l’incursione dell’imperatore, quando, da epoca presumibilmente molto più antica, questo saliente ed una serie di castra qui esistenti, fra cui anzitutto Pacentro, dovevano aver presidiato i confini del ducato di Benevento da cui dipendevano. La presenza ed i beni di S. Vincenzo in quest’area appaiono infatti plausibilmente comprensibili se si considera che molti fra i più antichi stanziamenti monastici di VIII-IX secolo possono costituire un utile fossile guida per ricostruire proprio le ben più ampie dinamiche di quello che era stato lo stanziamento dei Longobardi nel territorio nei due secoli precedenti.

Le istituzioni ecclesiastiche erano infatti bene in grado di indirizzare «mutamento dell’aristocrazia e delle forme di trasmissione della proprietà nella società longobarda», in quanto si presentavano ormai fra VII ed VIII secolo «quale strumento di rafforzamento patrimoniale dell’aristocrazia stessa», nel suo ormai consolidato organico rapporto con i principali centri monastici locali, nel caso di Pacentro S. Vincenzo al Volturno. Proprio in Valle Peligna doveva passare prima della caduta del Regno il confine fra ducato di Spoleto e ducato di Benevento, e dobbiamo supporre fosse stato da tempo obiettivo del secondo presidiare adeguatamente queste aree eccentriche così lontane dalla sede del ducato, ben prima della definitiva conquista imperiale di questa parte dell’Italia centrale.

La strategica area di Pacentro fu quindi interessata da precoci forme altomedievali di fortificazione legate al presidio dei confini del ducato di Benevento, anzitutto il castrum di tal nome, menzionato tuttavia solo nel 1086, quando «Tidolfu et Girardu et Pipo germani fratres fili quondam Transarici de Balba, abitatores in ipsum castellum de Pacentro», sono ricordati nella donazione a S. Panfilo di Sulmona di metà di S. Croce di Valva, ma anche di altri insediamenti fortificati come Cornianum, a monte di Pacentro, ricordato in un diploma di Enrico III del 1047 relativo alla conferma a S. Clemente a Casauria di S. Quirico e SS. Trinita, oggi S. Marcello, cui spettava l’altro insediamento di Finianum, con le sue pertinenze fino Forca di Corniano, secondo il Rivera (1926) riconoscibile come lo strategico Guado di S. Leonardo, anche noto come S. Leopardo, in evidente connessione con l’antica presenza beneventana.

Le classi dirigenti longobarde a cui appartenevano i signori di Pacentro andarono riconoscendosi nel vescovo S. Panfilo, come testimoniato dalla diffusione del suo culto in tante aree strategiche per il controllo della regione, a Caramanico sull’antico tracciato che da Guado S. Leonardo scendeva alla Val Pescara, a Cocullo nell’alta valle del Sagittario, a Penne, sede in età altomedievale con Chieti di due dei centri principali dell’intero Abruzzo adriatico, a S. Panfilo d’Ocre nei pressi dell’altomedievale Forcona, a Spoltore nella bassa Val Pescara, ed infine a Scerni lungo un percorso antico poi ripreso da uno degli storici tratturi.

 

di Andrea R. Staffa
Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo
(andrearosario.staffa@beniculturali.it)

 

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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