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Altino nel cuore dell’Abruzzo

Nel 1142 il “castrum” di Altino era incluso nella Contea di Manoppello, retta dal normanno Boemondo di Tarsia ed era soggetto al monastero di S.Salvatore a Majella (Rapino) per il pagamento delle decime, dopo l’approvazione di Papa Innocenzo III. In quell’epoca il detto monastero si trovava in una posizione politica emergente a sfavore della più antica S. Liberatore a Maiella.

L’incastellamento di Altino, strutturatosi in epoca normanna, era concluso. Dopo due secoli circa, in piena espansione della feudalità lancianese nel territorio del Sangro, Altino apparteneva a Pippo Ricci di Lanciano, fino al 1425. La città di Lanciano con il suo districtus sembrava incunearsi indisturbata nella Valle del Sangro avendo in rivalità solo Atessa. Nella seconda metà del Quattrocento, cambiarono le cose con gli Aragonesi, il nostro territorio fu incluso nel feudo degli Annecchini, insieme a Pennadomo, Roccascalegna, Gamberale e Buonanotte, fino a che loro non caddero in disgrazia presso re Carlo V, nel 1530. All’epoca di Raimondo Annecchini

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risale una redazione dello Statuto comunale: in una descrizione del 1531 si dice di Altino come composta da 72 fuochi (circa 450 persone), si cita anche la produzione di vino e frumento, con una rendita di circa 3000 ducati, qualora la regia Corte avesse deciso di vendere il feudo. Fu per la posizione marginale rispetto ai grandi feudi dei Caracciolo e dei D’Avalos che Altino fu ceduta continuamente dalla regia Corte a vari feudatari nel momento in cui c’era da rimpinguare le casse reali. Fu infatti un altro barone, Sormento di Altino, a firmare gli statuti nel 1531; poco più di ventanni dopo (1558) fu ricostruita la “Fontevecchia o della Terra” di semplice architettura rinascimentale, con archivolto a tutto sesto e due zampilli sgorganti da rispettivi doccioni a testa di putto. Sopra una lapide con la scritta dedicatoria: MDLVIII

ALTINI ET CAMARA RE. DOMINUS

Gli Statuti cinquecenteschi hanno articoli per buona parte incentrati sul controllo dei campi coltivati al fine di proteggerli dal girovagare degli animali da pascolo. Le “mandre non potevano entrare nelle vigne, i campi seminati e campi arborati con querce. Vi era il divieto di accendere fuochi dal 1 luglio fino a tutto agosto e né si potevano “rompere le fratte”. Era prevista una pena per chi prometteva di aiutare gli altri e poi non lo faceva in contraddizione con un’antica usanza dell’aiuto per aiuto dei gruppi contadini. (in AA.VV. Altino, lo statuto del 1470, 1994). Al tempo di Tommaso d’Aquino, napoletano, Duca di Casoli che era utile signore di Altino, si concluse il catasto onciario (13 marzo 1745). Da questo documento risulta un territorio in gran parte lasciato incolto con le cospicue superfici feudali della piana alluvionale del Sangro di proprietà del Duca di Casoli (Tommaso d’Aquino) nelle contrade Terre Nuove e Scosse di tomoli 200 (oltre 71 ettari), interrotti dal bosco della Mensa Parrocchiale di S.Maria del Popolo nella contrada Termine della Chiesa.

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Il confine in direzione del Comune di Roccascalegna invece si caratterizzava da una fascia di territorio promiscuo destinato alla pastorizia che dalla Valle del Sangro si estendeva sino al Rio Secco per la quale, nei primi anni dell’Ottocento, si riaccenderà una contestazione con il comune di Roccascalegna, già iniziata nel 1537 riguardante l’uso del suolo “compascuo” che all’origine per interesse dei baroni Annecchini era in comunione d’uso tra le due universitas. Altri cespiti feudali erano quelli della Badia di S.Pancrazio (Roccascalegna) nelle contrade di S.Angelo di tomoli 43 (oltre 15 ettari) e in Castellara di tomoli 30 (oltre 10 ettari). La Mensa parrocchiale possedeva inoltre diversi terreni di estensione variabile di ½ tomolo a 4 tomoli con otto”campagne” (una campagna era un superficie di terreno organizzata con coltivazioni specializzate o seminativi dall’estensione variabile dal mezzo ettaro fino a due tre ettari). Un territorio comunale, quindi, dove i terreni coltivati erano posti vicino a suoli erbosi e arbustivi tra i quali spiccava il vasto terreno incolto nella piana alluvionale dell’Aventino di 200 tomoli (oltre 71 ettari) in gran parte feudale.

Un territorio comunale caratterizzato da possedimenti feudali alternati a quello del demanio civico la cui consistenza risultava così essere:

1 – Feudo di Scosse di circa 400 tomoli di terreno coltivabile “disseminato di querce” sui quali il Duca di Casoli ricavava 60 tomoli di grano e di mais derivanti dai terraggi alla decima;

2 – Demanio ex-feudale Cerritano, Casa della Corte e Piana Selva di tomoli 230 con vigne e ulivi del Principe di Caramanico;

3 – Feudo Selva Mammone nell’area della confluenza di tomoli 110 con vigna e ulivi del Principe di Caramanico;

4 – Demanio comunale confinante con il Sangro, il territorio promiscuo con Roccascalegna di tomoli 1800 di vigne e uliveti con 200 di terreni “lamosi” e tomoli 50 di terreno seminativo; oltre al diritto di pascere, acquare e pernottare, e di legnare, i cittadini avevano quello di poter costruire case liberamente;

5 – terreno promiscuo tra Altino e Roccascalegna di tomoli 150 in parte vignato e coperto di ulivi; si seminavano una volta ogni 3 anni “per essere quasi tutte lamosi

Con l’eversione della feudalità e la ripartizione dei demani nel sec. XIX, le cose cambiarono radicalmente: furono avviate intense azioni di cesinazione, con la scomparsa di antichi boschi dei quali oggi rimane solo il ricordo (ad esemp. Selva di Altino), e la diffusione dell’agricoltura. Anzi, una spinta importante, soprattutto per la diffusione dell’orticultura e ai frutteti specializzati, fu la costruzione della strada Frentana (1837), che aprì al commercio con i paesi dell’interno. Nel dopoguerra, quelli che erano gli antichi orti, sempre si sono trasformati in lotti edificabili talché la “Selva”, già contrada fertile e frequentata dagli ortolani, si connota oggi come nuova espansione residenziale, ormai a identità urbana come quella dei nuovi sviluppi urbanistici vallivi abruzzesi. Ma la campagna contiene numerose tracce dell’antico paesaggio, talvolta splendide ancorchè melanconiche testimonianze di una palinsesto di agricoltura ancora ricco e, chissà, forse ancora esplorabile, come lo sono gli uliveti e le cultivar specifiche. Nel sintetizzare queste semplici osservazioni, risulta che il territorio altinese conserva vaste tracce dell’antica strutturazione a pascolo, con spazi aperti di una qualità storica e percettiva interessante, soprattutto per i terreni posti nelle Contrade Macchie, Mandrelle (il toponimo “mandra” indica “recinto per animali”) e Lame; mentre il patrimonio dell’edilizia rurale storica, riconducibile al sec. XIX, che si trova diffusa ancora nelle campagne (talvolta soverchiata dalla nuova edilizia), pur nella semplicità tipologica vernacolare, si evidenzia per l’uso misto della pietra e dei mattoni. Anzi sono le pietre a caratterizzarle (come anche per l’edilizia storica della Valle del Rio Secco) per il colore rossiccio dell’arenaria; si tratta delle pietre, chiamate “ferregne” nel gergo locale, miste alle marne o ciottoli fluviali.

DA VISITARE

“La casa del peperone” Museo del Peperone Dolce di Altino

museo_peperonedolcealtino

Via Roma c/o Palazzo Rossetti
Altino (CH) – 66040

Sabato e Domenica
10:00-13:00 | 16:00-19:00

info@peperonedolcedialtino.it
Tel. +39 334 7749220

 

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Informazioni su Marco Maccaroni 993 articoli
Classe 1956, innamorato di questa terra dura ma leale delle sue innevate montagne del suo verde mare sabbioso dei suoi sapori forti ma autentici, autore, nel 2014, del sito web Abruzzo Vivo

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