L’antico approdo di Hatria

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Il 25 luglio 1982 il prof. Data, grazie alle informazioni rilasciate da alcuni pescatori locali, che da tempo frequentavano lo specchio d’acqua antistante la Torre di Cerrano, nel comune di Pineto, fece un’interessantissima scoperta a seguito di un’immersione con alcuni esperti subacquei e con il prof. G.A.Saccomani di Venezia. Le acque custodivano infatti da tempo immemore strutture in conglomerato e alcune in laterizi di sicura origine antropica. Blocchi squadrati in calcare, grandi parallelepipedi in conglomerato, resti di muri in laterizi, rocce in arenaria a forma di bitta, colonne canalizzate, poggiavano silenti sul fondale marino, coperti da concrezioni.

Cosa rappresentavano queste strutture? Quale funzione avevano? Chi le aveva realizzate? A che epoca risalivano?

Queste probabilmente furono le prime domande che si pose il prof.Data e ad alcune delle quali ancora oggi, a più di venticinque anni dalla scoperta nessuno ha saputo dare risposte certe. Dubbie sono infatti ancora oggi le origini di tali resti ma certe sono le fonti storiche che indicano l’esistenza di un epìneion in epoca romana, così definiva Strabone (Geografo greco nato ad Amasea nel 64 a.c.) il porto commerciale di città non marittime qual era Atri, ubicato nell’Hager hatrianus e più precisamente alla foce del fiume Matrino. Strabone infatti nella sua Geografia, descrive lo scalo atriano, importante sia per la strategica localizzazione in Adriatico centrale che per la funzione di utile scalo per lo scambio di merci, su rotte commerciali che correvano longitudinalmente alle coste sabbiose dell’Adriatico occidentale e trasversalmente tra quelle occidentali ed orientali, come coincidente con la foce del fiume Matrino, corso acqua discendente dalla città di Hatria, per il quale ancora è dibattuta l’esatta ubicazione. Molte comunque sono le discussioni aperte tra gli studiosi e le varie ipotesi delineano un quadro storico molto confuso e ancora ricco di misteri. I più propendono per far coincidere il porto romano di Atri con la foce del fiume Vomano dove peraltro sono stati rinvenuti in passato numerosi resti di ville, come quelle presenti sulla sinistra e destra orografica del fiume stesso, manufatti di origine romana, come il recente mosaico rinvenuto nella zona di Fonte dell’Olmo nel territorio di Roseto degli Abruzzi e monete d’argento e di bronzo di età imperiale, scoperte qua e la lungo l’asta del fiume. Altro indizio importante per l’area lo lascia Luigi Sorricchio, riconosciuto storico locale del diciannovesimo secolo che, in un manoscritto, probabilmente custodito dalla famiglia stessa, “Le Antichità dell’Adria Picena”, descrive, definendone le dimensioni strutturali, strutture portuali nell’area alle pendici di Colle Morino di Pineto (TE), colle, che per assonanza richiama proprio il toponimo Maurinum o Macrinu, descritto peraltro anche in un’antica mappa romana, la Tabula Peutingeriana. In questo caso, l’area dove insisteva il porto, non meglio definita lungo la linea di costa, si trovava in un crocevia fiume/strada, all’intersezione tra la foce del fiume Vomano e la via Cecilia, importante asse viario romano.

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Atri (TE)

Con molta probabilità la foce a quei tempi era collocata alcune centinaia di metri dietro e spostata di 800 m a sud rispetto all’attuale, come ci testimoniano pubblicazioni geologico/scientifiche, ed era raggiunta e servita da un’importante strada romana, la Cecilia, ramo della Salaria che permetteva ai romani un passaggio sugli Appennini e quindi una porta verso l’oriente, al sicuro dai forti e ostili Sanniti. Altre ipotesi riportano invece l’approdo di Hatria coincidente con la zona di foce tra il Piomba ed il Saline, facendo risalire ad epoca medioevale il porto di Atri edificato in Pinna Cerrani. In ragione tuttavia, dell’attribuzione romana ai numerosi reperti sopra descritti rinvenuti nello specchio acqueo antistante la torre di Cerrano, oggigiorno cuore geografico della neonata Area Marina Protetta “Torre del Cerrano, nonché delle anfore con legenda HAT rinvenute sia in c.da Castelluccio lungo il corso del Torrente Cerrano che nelle reti dei pescatori locali, appare chiara che l’ubicazione dello scalo marittimo molto probabilmente coincideva proprio con le strutture presenti in quest’area e che solo ulteriori e approfonditi studi e campagne archeologiche, potranno portare ulteriore luce su questioni ancora oggi dibattute e ancora poco chiare. Oltre allo scritto di Strabone, molte sono le fonti bibliografiche, soprattutto di epoca medioevale che raccontano dell’esistenza di un approdo in questa zona. Un diploma spedito nel 1251 da Ascoli Piceno dal legato di papa Innocenzo IV, il cardinal Pietro Capoccio, infatti, rimane comunque la prima testimonianza epigrafica della possibilità concessa agli atriani di edificare un Porto, con espressa esattamente la localizzazione e cioè in “Pinna Cerrani “ di cui ci piace citare un piccolo passo, “…concedimus ut Civitas Adrie possit habere portum per lius et litura maris per suum Comitatum ubique…”. Da allora sono molteplici le testimonianze delle attività legate sia ai numerosi restauri effettuati che alle operazioni commerciali sviluppate nel piccolo approdo, attività talmente frenetiche da causare “la ruina” già nel 1287, anno in cui gli atriani furono obbligati a trasmettere una richiesta di intercessione al giustiziere Reforzato di Castellana chiedendo “..di poter reparare e riedificare una certa vecchia torre ed il luogo frastagliato sul lido del mare dove avrebbero potuto trovare ricetto i navigli e caricarsi e scaricarsi merci ed altre cose lecite, pagati i diritti della corte…”. pretendendo inoltre che a tale ricostruzione contribuissero anche i castelli di Silvi e Montepagano poiché trovavano giovamento nel suo sfruttamento commerciale. Il porto era ubicato sulla “…plagia Cerrani…” e come recitano documenti del 1307 e del 1309, l’area all’ epoca doveva rappresentare un’importante punto di scambio e di intensa e fiorente attività, tanto da presentare, al suo interno: una torre, case, un ospizio, un oratorio, un chiostro, una chiesa, intense attività di scambi commerciali di legname fino da lavoro, lana, ceramiche, grano ed orzo con la Dalmazia e con l’Adriatico settentrionale. La rigogliosa attività commerciale è ribadita anche nella testimonianza del 1319 di esenzione a pagare il dazio di uscita alle navi atriane che caricavano grano e orzo dal porto di Manfredonia per trasportarle ad Atri che probabilmente si presentava consunta e stremata dalle numerose guerre intestine.

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Poco più tardi, tra il 1347 e il 1352, a causa dei saccheggi e distruzioni operate dalle compagnie di ventura capitanate da Frate Moriale, siripresentò la necessità di chiedere nuovamente dei finanziamenti utili al restauro dello scalo prima a Carlo Duca di Calabria e poi a Re Luigi e Giovanna I. Nel 1362 gli Atriani firmarono una convenzione con i teramani per l’utilizzo del Porto di Cerrano a svantaggio di quello di San Flaviano a Giulianova, convenzione accordata dalla regina Giovanna I nonostante i “chiassosi” ricorsi delle genti giuliesi. Un contratto di locazione e mantenimento del porto, delle case e dei magazzini, delle stalle e dell’esclusiva di pescare nelle acque antistanti il porto, stipulato tra il comune di Atri e un certo Giacomo del Lupo, testimonia i danni prodotti dalle incursioni delle flotte della Repubblica di Venezia, capitanate da Andrea Loredan per distruggere tutti i porti dell’Adriatico e ribadire in questo modo la supremazia della flotta commerciale veneziana nelle acque dell’adriatico. Tuttavia non bastarono gli sforzi di Giacomo del Lupo per restituire antico splendore al porto, tanto che gli stessi atriani chiesero e ottennero da Ferdinando I, ben 300 ducati annui per il restauro del porto e delle strutture. Nonostante l’impegno degli atriani, nel 1468 gli stessi chiesero al re “…che atteso lo porto di Cerrano per la fortuna del mare a breve mancherà e minaccia ruina gli conceda ad essa università riedificarlo in altro luogo idoneo secondo il parere della detta università sul territorio e distretto per il litorale della detta città dovunque…”: Nonostante alla fine del ‘400, alla morte di Giuliantonio Acquaviva, il re Ferdinando I d’Aragona, confermasse al figlio Andrea Matteo III Acquaviva i possedimenti del padre tra cui “lo castello de lo porto de Cerrano… l’eglesia de Sancto Nicola…e altro, lo stesso doveva presentarsi già in rovina. Le ultime notizie prima dell’inevitabile insabbiamento del porto risalgono al 1513, anno in cui il procuratore dell’Università cede il diritto di pesca e di approdo, ad una società composta da Giacomo di Cicerone (Sanguedolce), Francesco Firmani, Girolamo Antonelli e Prudenzio Massarotti; in seguito quel poco che rimaneva a detta di F. Da Secinara nel 1627 subì le conseguenze di un terremoto che provocò il distacco del versante collinare, inglobando ogni cosa, alberi, animali e qualche abitazione. Molte sono le strade da percorrere secondo gli studiosi, ma sicuramente altri spunti di ricerca si sono aggiunti dopo gli interessanti rinvenimenti effettuati in area nel corso dell’ultimo quinquennio ad opera dell’Archeosub Hatria, del gruppo di ricercatori della Sapienza e del dott.Angeletti, responsabile all’archeologia subacquea per la Soprintendenza Archeologica d’Abruzzo e ultimamente dalla sopraggiunta Università D’Annunzio con la sua facoltà di Archeologia

Adriano De Ascentiis

Bibliografia: L.Sorricchio,1929. Hatria – Atri, Dalle invasioni barbariche alla fine della dinastia Angioina (476-1382). VII. Tip.De Arcangelis Pescara. AA.VV., 1983. Cerrano ieri e oggi. Amministrazione Provinciale di Teramo. AA.VV. Il Porto di Atri: un invito alla ricerca archeologica. Comunità montana del Vomano, Fino e Piomba “Zona N” Cermignano

 

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Classe 1956, perito elettronico industriale, ho conseguito attestati riconosciuti per attività su reti cablate LAN presso la IBM Italia. Ho svolto la mia attività lavorativa c/o Roma Capitale sino al 2020. Autore, nel 2014, del sito Abruzzo Vivo.

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